Lo spunto per affrontare il tema “scienza con coscienza” ci è stato offerto dalla recente pubblicazione di Irriducibile. La Coscienza, la vita, i computer e la nostra natura (Mondadori, Milano 2022) di Federico Faggin, il genio delle tecnologie informatiche che negli Stati Uniti ci invidiano e che in Italia molti non sanno neanche chi sia. Fra l’altro una delle tante “menti” che erano state catturate dall’Olivetti di Adriano.

Il tema non è nuovo. Fu Edgar Morin nel 1982 ad avvertirci. Oggi, come accennato. una delle tante brillanti beautiful mind italiane, Federico Faggin, ci ricorda: la scienza non è un problema di scienza, ma di coscienza. Soprattutto con l’Intelligenza Artificiale che apre scenari tra l’incredibile e il temibile è opportuno porsi una domanda: cosa sarà di noi se non capiamo qual è il limite al di là del quale non spingersi? Quanto libero può essere il “libero arbitrio”?

Sin qui, solo parzialmente, l’uomo ha dimostrato di saper capire dove siano i limiti: si pensi all’energia nucleare o alla genetica e agli esperimenti effettuati per creare la “razza perfetta”. Oggi siamo nuovamente di fronte ad una questione: sino a che punto insegnare alle macchine ad imparare. In più l’unica cosa sulla quale si sa molto poco è se si stia o meno cercando di mettere le macchine in grado provare emozioni. Questo non è facile poiché per fortuna ne sappiamo ancora relativamente poco del nostro cervello e di come questo realmente funzioni. Ma su questa ampia area di studio le neuroscienze, come più volte abbiamo segnalato, stanno acquisendo sempre nuove cognizioni verificate. Certo, la tecnologia nelle sue applicazioni non ci deve sfuggire di mano e per facilitare il fatto di andare in questa direzione, come sottolinea Faggin nelle pagine conclusive del suo lavoro, tutti dobbiamo ricordare che “…per poter prendere le decisioni giuste non possiamo basarci solo sulla scienza, ma dobbiamo aggiungere la comprensione e i valori che solo il cuore può offrirci” (op. cit. pag. 247). Se è così, se la conoscenza abbiamo il coraggio di viverla diventeremo osservatori scientifici, che non continueranno ad assumere che il mondo sia solo una macchina che obbedisce a leggi matematiche, ma scienziati che saranno attori-osservatori e che quindi creano conoscenza “vivendo”.

Voglio chiudere questo breve post ricordando due frasi finali del libro di Faggin che mi sembrano emblematiche sul fatto di “fare scienza con coscienza”: “La tecnologia dev’essere usata per aiutarci a scoprire la nostra vera natura umana, non per imprigionarci ulteriormente in un mondo virtuale senza significato”. (op.cit. pag. 250).

“E, per conoscere sempre di più, abbiamo bisogno di una nuova scienza empatica, che possa convertire la conoscenza scientifica in una profonda conoscenza vissuta e da essa generare nuova conoscenza scientifica” (op. cit pag. 250).

Questo non vieta che, come in molti film viene denunciato, la tecnologia talvolta sia al servizio del male e non del bene dell’umanità, anche se in alcune situazioni di confine l’utilizzo delle tecnologie sia stato travestito da bene per poi chiudere con la frase di Macchiavelli, forse un po’ troppo cinica: “il fine giustifica i mezzi”. È in queste situazioni che l’utilizzo della tecnologia può sfuggire di mano (si pensi ad Hiroshima e alla creazione degli arsenali nucleari, contrapposte al nucleare pulito per la produzione di energia).

Nei programmi MBA, agli studenti viene insegnato che le aziende non possono aspettarsi di competere sulla base delle competenze manageriali interne perché sono semplicemente troppo facili da copiare. L’efficacia operativa – fare la stessa cosa di altre aziende ma farlo eccezionalmente bene – non è un percorso verso un vantaggio sostenibile nell’universo competitivo. Per stare al passo, si pensa, un’azienda deve puntare su una posizione strategica distintiva, facendo qualcosa di diverso rispetto ai suoi rivali. Questo è ciò su cui il C-suite dovrebbe concentrarsi, lasciando i manager di livello medio e inferiore a gestire gli aspetti pratici della gestione dell’organizzazione e dell’esecuzione dei piani.

Ben venga il recente comunicato di 350 scienziati dalla no-profit Center for AI Safety, anche se forse dai toni un po’ troppo catastrofici: “Mitigare i rischi di estinzione causati dall’intelligenza artificiale dovrebbe essere una priorità globale, così come viene fatto per altri rischi su scala sociale come le pandemie e la guerra nucleare”. Per chi desideri approfondire questa frase si segnala questo link.

Intanto per le aziende l’AI avanza. Si stanno moltiplicando le applicazioni ed iniziano ad essere producibili documenti come quelli generati da ChatGPT, un chatbot basato su intelligenza artificiale e apprendimento automatico sviluppato dall’ Open AI e specializzato nella conversazione individuo-macchina. Se ne parla molto. È interessante almeno una prima analisi.

Per chi ha vissuto l’epopea dei Decision Support Systems (anni ‘80) e poi dei Sistemi esperti (anni ‘90) le recenti elevate accelerazioni sono state impressionanti e questo grazie ai progressi della fisica quantistica e alle attuali capacità di raccolta e calcolo delle macchine.

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