È dibattito degli ultimi anni quello di capire se le organizzazioni debbano essere “agili” o veloci. Devo confessare che una delle cose che mi colpì quando ebbi l’opportunità di collaborare con la Diesel di Renzo Rosso nel 2005, quando l’azienda stava crescendo all’estero a tassi elevati, fu una sua frase: “Oggi non siamo abbastanza veloci, almeno come lo eravamo quando eravamo più piccoli, qualche anno fa”. Dove la struttura peraltro prescelta dall’ azienda faceva scuola ed era la struttura a rete (network structure). Così come mi aveva colpito la manifestata esigenza di velocità anche per la preparazione delle offerte e la realizzazione dei progetti da parte di Telespazio, realtà aziendale che opera nel settore della gestione e della valorizzazione dei satelliti in orbita.

Da questi ed altri casi aziendali mi venne il sospetto che la velocità fosse una caratteristica richiesta alle imprese che operano in mercati innovativi, dove chi si ferma è perduto. In tempi successivi e nella letteratura di management venne enfatizzata la Time based competition (1990) e un indicatore strategico per molte imprese divenne il “time to market”. Alle capacità di proporre prodotti innovativi si abbinarono le pressioni competitive. Un mercato in proposito esemplare è stato ed è tuttora quello dell’automotive. In questi ultimi trent’anni la contenuta burocrazia organizzativa, il coraggio di osare e la presenza di solide competenze di business hanno fatto da completamento alla “velocità”. Unicamente le imprese che sono riuscite a coniugare insieme queste tre caratteristiche sono riuscite ad essere veloci. Tuttavia, tutto ciò non è ancora sufficiente. Pensando infatti anche alle caratteristiche fisiche delle persone emerge che per essere effettivamente veloci bisogna avere una struttura agile. Una simile struttura è facilitante e, si potrebbe quasi sostenere, abilitante per essere veloci. Purtroppo, la complessità gestionale crescente di molte imprese ha portato con un po’ di disattenzione a strutture “pesanti”. Essere agili significa invece avere strutture ridotte all’essenziale, con poche posizioni di controllo e una catena di comando corta.

Così quando ho visto il libro di Neil Perkin Agile Transformation. Sopravvivere, svilupparsi e competere nell’era digitale (Guerini Next, Milano 2023), pubblicato dal nostro Knowledge partner, ho sentito l’esigenza di segnalarlo subito alla nostra community. Incentrato sulle opportune trasformazioni del sistema di direzione (management systems) indotte anche dal digitale, il libro propone un approccio al cambiamento attraverso una struttura ambidestro: “pensi in grande, inizi in piccolo, scali velocemente”. Dello stesso autore abbiamo una seconda, più recente pubblicazione: Agile Marketing. Rapidità. efficienza e controllo per il marketing team di domani (Guerini Next, Milano 2023). Tra le differenti aree funzionali quella di Marketing è quella che con i Data Analytics e le tecnologie digitali ha ricevuto più stimoli nel crescere qualitativamente nei contenuti più che nel numero delle persone che in questa area è opportuno lavorino: qui ci si gioca il successo nel definire gli indirizzi in termini di innovazione e le azioni per un’efficace attuazione della strategia. Nel libro c’è un’idea molto bella che ha a che fare con la velocità di cui si è detto: lavorare a sprint.

Insomma l’agile è di attualità. Ne tratta nel Mckinsey Quarterly questa autorevole società di consulenza strategica e la seguono su questa strada, dedicando ricerche e riflessioni, Bain ed altre realtà della consulenza direzionale anche italiane, come il Gruppo Galgano. In particolare Bain ha curato un libro di Darrell Rigby, Sarah Elk, Steve Berez dal titolo significativo Doing Agile Right: Transformation Without Chaos (HBS Press giugno 2020 – Traduzione italiana a cura di Egea).

D’altra parte che questo tema della struttura “leggera” sia centrale, lo colgo in modo significativo anche dal numero di persone che leggono il mio paper “L’ABC per la gestione dei costi di struttura”, disponibile sia su Linkedin sia su Research gate.

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