La letteratura su questo quasi ineluttabile passaggio arriva da lontano. Da Max Weber a Douglas McGregor a Gary Hamel, passando da Warren Bennis e non dimentichiamo Henry Mintzberg. La necessità di cambiare è dovuta alle mutate dinamiche di ambiente esterno. Da quando Max Weber negli anni Venti del secolo scorso, suggeriva la struttura burocratica come quella ideale per raggiungere e mantenere il potere, diverse sono state le spinte verso strutture via via più snelle e agili. Ma abbiamo dovuto aspettare prima Warren Bennis, poi Henry Mintzberg e a seguire gli anni Novanta per prendere le giuste distanze da questa tipologia di struttura organizzativa. In primo luogo, Warren Bennis con il suo Beyond Bureaucracy (Jossey Bass, 1973), una raccolta di saggi pubblicata nel 1973 e poi riproposta nel 1993. Questa raccolta conteneva l’innesco della mina: il suo saggio The decline of bureaucracy and organization of the future, era seguito poi, dopo poche pagine, da quello che potrebbe ancora oggi essere un “manifesto” per tutte le imprese Democracy is Inevitable (pubblicato anche su HBR n. 1964 e scritto insieme a P. Slater).

Il suo approccio era chiaro: suggerito, la necessità di andare oltre la burocrazia. Un suggerimento autorevole poiché veniva da quello che ancora oggi è considerato il padre scientifico della Leadership. D’altra parte, la burocrazia ha resistito nel tempo e continuerà a resistere poiché risponde molto bene a quella soluzione suggerita dal “divide et impera” di Filippo II di Macedonia (382 a.c.-336 a.c.) che aiuta a gestire il potere in presenza di popolazioni numerose e culturalmente eterogenee. Così, nonostante siano passati nella letteratura di management 50 anni dalle prime posizioni negative, la struttura burocratica sembra resistere, anzi diffondersi. Si è diffusa in strutture manageriali di alcune grandi corporation e strutture organizzative praticate nella Pubblica amministrazione. In queste realtà non sarà facile cambiare, si sono creati precisi e stabili equilibri di potere. Di un possibile ruolo positivo delle strutture burocratiche, con procedure e strumentazioni di management articolate, sono portatori quei contributi che hanno enfatizzato il ruolo di strutture che, con la crescita dimensionale, sono passate da strutture funzionali a strutture divisionali e dove le strutture sono poi diventate strategicamente rilevanti come Strategic Business Unit. Ci si riferisce ai lavori di Alfred Chandler (Strategia e struttura: la storia della grande impresa americana- Franco Angeli 1962 e Managerial Hierarchies – Harvard University Press 1980) e successivamente anche al libro di Richard Rumelt: Strategy, Structure and Economic Performance (HBS Press). Ma gli esempi potrebbero essere ancor più numerosi. Qui ci piace ricordare che questa escalation della “strutturazione spinta” inizia a rallentare quando Rosabeth Moss Kanter nel 1990 con i risultati della sua ricerca lancia un monito: When Giants Learn to dance.

A rafforzare la tradizionale vista dimensionale della burocrazia, in base alla quale più si è grandi più servono regole e controlli per gestire, si è anche associata l’idea che: a) le persone sono “risorse produttive” (human resources) al pari di altre risorse e come queste altre non hanno un’ “anima”. E in più b) le persone, nella visione di molti vertici aziendali, rispondono in netta prevalenza alle caratteristiche indicate da McGregor per quella da lui definita la Teoria X. In base a questa teoria le persone sul lavoro sono tendenzialmente demotivate, lavorano solo per lo stipendio e quindi per loro il lavoro è un male necessario. In base a questi assunti il lavoratore dipendente diventa inaffidabile e si devono quindi prevedere meccanismi di controllo e di incentivazione. La convinzione è che queste risorse più le comandi e le controlli più hanno comportamenti allineati con quelli desiderati. Tuttavia, McGregor in The Human side of entreprise ricorda l’esistenza della visione opposta relativa alle motivazioni lavorative delle persone: la Teoria Y. In base a questa Teoria le persone lavorano poiché trovano nel lavoro una modalità di realizzazione di sé stessi ed accettano di assumersi delle responsabilità, lavorando con un atteggiamento di lealtà e di impegno nei confronti dell’azienda.

È questa la visione che le proposte per le organizzazioni Teal, quelle Holacracy e Humanocracy stanno recuperando negli ultimi anni. Si riportano le persone al centro e si attribuisce loro autonomia e responsabilità. Alla base di tutto c’è la fiducia, che fra l’altro, lo smart working, con il lavoro a distanza, ha contribuito ad aumentare nei confronti dei collaboratori da parte dei vertici delle aziende. Resta da capire come mai in passato la burocrazia si è diffusa in misura tanto elevata. L’analisi non è facile e diverse indicativamente sono state le cause: come si è detto la diffidenza dei vertici (fidarsi e bene non fidarsi meglio), la percezione che una leadership basata sulla gerarchia e autoritaria potesse avere più successo di una partecipativa, l’idea che una soluzione per gestire situazione complesse fosse “spezzettarle”. Ne conseguì che la diffusione di soluzioni organizzative molto articolate e raffinate nella loro strutturazione non era poi così incomprensibile. Anzi in logica situazionale (contingency), anche Henry Mintzberg nel suo libro Structuring in Fives non censurò l’idea di avere delle realtà nelle quali la struttura burocratica trovi possibili applicazioni a prescindere. Così, nei suoi lavori ne precisò i possibili spazi applicativi: dopo la struttura semplice della Pmi si possono addirittura annoverare e pensare due tipologie di burocrazia, quella meccanica e quella professionale. Due tipologie che con i loro rituali e la standardizzazione delle attività dovrebbero migliorare la “produttività”, anche in contesti dove è diverso è la professionalità richiesta.

Resta il fatto che alla luce delle motivazioni addotte dagli ultimi contributi, molti studiosi hanno condiviso l’opportunità di muoversi verso un progressivo abbandono della burocrazia, ma il percorso non è stato facile dato il numero delle persone che hanno beneficiato e beneficiano ancora da questa soluzione organizzativa. Tuttavia la letteratura degli anni Novanta ha comunque insistito in questa direzione: le strutture organizzative “stabili” (funzionale e divisionale) hanno lasciato il posto ad una gestione per progetti e per processi trasversali, si sono fatte anche proposte di “strutture a matrice”, la leadership – si è scritto – deve cambiare e nascere da autorevolezza e meritocrazia, il controllo deve mutare da “ispettivo” a controllo “costruttivo” e così via. Una raccolta di alcuni significativi contributi in questa direzione è quella curata nel 1994 da C. Heckscher (Rutger University) e Lynda Applegate (Harvard University) che sul tema The Post Burocratic Organization (Sage Plublications 1994) coinvolge studiosi di Harvard (N. Nohria e J. Sviokla), dell’Mit (J.Klein e M. Scully) e di altre università americane. Muovendo dalla definizione dell’organizzazione Post-burocratica ne descrivono le principali caratteristiche in termini di crescente ricorso al team con i suoi problemi di valutazione delle performance e ricompensa; e non mancano riflessioni sui cambiamenti necessari in alcuni meccanismi operativi come il sistema di pianificazione e controllo. Ed infine Nohria con J. Berkley offre alcune riflessioni sull’impresa virtuale che viene indicata come il prossimo frutto dell’evoluzione delle tecnologie informatiche. Nel recepire tutti questi suggerimenti di cambiamenti organizzativi, alcuni dei quali forse eccessivi, quasi da assassini “seriali”, Gary Hamel, con una sequenza logica apprezzabile, pubblica due contributi: il primo è The future of management (Hbr Press, Boston 2008). È un primo frutto delle sue attività di ricerca e di insegnamento alla London Business School. Ne emerge la necessità di un’innovazione nel contenuto delle attività che caratterizzano il management process, anche se cambia la loro rilevanza. Pertanto il planning rimane il momento iniziale del processo e costringe a riflettere sulla strategia e su come dare attuazione alla strategia stessa. Tuttavia si potrebbe anche non pianificare, ma ciò nonostante la formulazione della strategia resterebbe fondamentale da formulare e aumenterebbe anche la rilevanza della fase di esecuzione della strategia stessa. Il controllo non è più focalizzato solo sulla gestione operativa, ma verifica la strategia realizzata rispetto a quella deliberata.

Alla London Business School Hamel ha collaborato con Julian Birkinshaw, co-fondatore del Management Innovation Lab (MLab) e Reinventing management (Jossey Bass, 2010), il lavoro di questo studioso, riprende per sua stessa confessione, alcune idee discusse con Hamel. Ma Birkinshaw ha fatto tesoro di alcune riflessioni per pubblicare nel 2018 con J. Ridderstrale Fast Forward, che nell’edizione italiana ha come sottotitolo Imprese e leader ad avanzamento rapido per cogliere il futuro al volo (Roi Edizioni, Macerata 2018), dando così un ulteriore contributo alla demolizione delle strutture burocratiche. Un altro libro merita la nostra attenzione, per il grande successo di critica e di pubblico ricevuto. Si tratta di Exponential Organizations (ExO Partner LLC, 2014) di Salim Ismail, M. Malone e Y.van Geest. In questo lavoro si ripercorrono i casi aziendali dove la crescita esponenziale è stata facilitata dalla creazione di un’organizzazione esponenziale (ExO). Tutto muove dall’individuazione di un Massive Transformative Purpose (Mtp) e da qui in avanti non fare nessun piano quinquennale, ricordare che la circolazione delle informazioni è un potente acceleratore, per quanto possibile smonetizzare, noleggiare è meglio che comprare, ed infine mai dimenticare che la fiducia batte il controllo e l’apertura batte la chiusura. Inoltre nel contributo appena analizzato c’è un rimando ad un concetto cui dedicheremo presto un po’ di spazio nel Blog: Holacracy. L’idea è semplice ed anch’essa porta a superare le rigidità della burocrazia e a muoversi verso l’agilità: fare delle persone che operano in azienda delle persone con autonomia e responsabilità, come se fossero dei leader. Si riportano in modo reale le persone al centro.

Ed è per questo che al momento resta insuperato il secondo contributo di Gary Hamel, quello con Michele Zanini. Si tratta di Humanocracy, al quale abbiamo già dedicato dei post e ne dedicheremo degli altri. Per il momento ricordiamo che oltre al superamento della burocrazia l’obiettivo dei due autori è quello di creare una community, la partecipazione alla quale è anche un nostro preciso suggerimento (humanocracy.com), che cambi il modo di concepire il lavoro nelle imprese e pratiche, quello che i due autori stessi definiscono: “The new human moviment”.

Il problema è che con le attuali dinamiche ambientali, più tardi si interviene nell’attuare questo cambiamento più se ne subiranno le conseguenze negative dato l’ineluttabile evolversi dell’ambiente esterno: la struttura burocratica oltre che dilatare di tempi di realizzazione di qualsiasi attività/progetto innovativo, ne aumenta drammaticamente per la società nel suo complesso i costi; questo sia per il tempo perduto da qualcuno nel fare determinate attività, talvolta inutili, ma richieste dalle procedure, sia nei costi generati da una struttura che per sancire uno status quo, moltiplica ruoli e livelli gerarchici. Se si vuole o si può essere lenti e allora ci si può affidare alla burocrazia o diversamente si tratta di agire sfoltendo regole e consuetudini, rispettandone solo alcune di carattere generale e contando sui determinati valori delle persone. Tra questi la ricerca di retribuzioni elevate e di posizioni di potere importanti non devono avere un ruolo predominante. Questi sono i valori che guidano i comportamenti individuali nelle strutture burocratiche e che spesso portano alla corruzione, ad accettare compromessi e ai patteggiamenti. Le “mode” passano anche perché ciò che sulla carta sembrava perfetto o lo era con riferimento da un determinato momento storico o lo era solo sulla carta. Alla prova dei fatti alcune soluzioni si sono dimostrate dalle conseguenze negative inaspettate. In proposito basti solo ricordare il best seller della letteratura di management degli anni ’80: In search of excellence (Alla ricerca dell’eccellenza, 1982) di Tom Peters e Bob Waterman, dove venivano incensate come “eccellenti” le realtà aziendali con performance economiche superiori e caratterizzate dal configurarsi formale e coerente di 7 variabili (le 7 S): struttura, strategia, systems (meccanismi operativi come ad esempio il sistema di pianificazione e controllo), stile di direzione, staff (dimensionamento delle strutture di supporto), skills (competenze) e tutte queste sei variabili risultano espressione di un preciso e condiviso sistema di valori aziendali (shared values).

Questo modello legato alla Mckinsey ed ispirato dall’osservazione di alcune prassi di imprese giapponesi (Athos e Pascal, Le 7 S, ovvero l’arte giapponese di gestire con successo le aziende, Mondadori 1982) suggeriva di abbandonare un approccio eccessivamente razionale al management per iniziare ad introdurre elementi che spingessero verso l’innovazione. Ma struttura, sistemi e staff costituivano ancora i retaggi di un passato sul quale erano “costruite” molte realtà aziendali statunitensi che avevano ottenuto risultati di rilievo. Forse era opportuno rendere più “libero da regole e da controlli” un management che stava per dover cavalcare l’onda gigantesca ed imprevedibile dell’ipercompetizione (vedi Blog e webinar); un’onda che proprio in quegli anni, con l’ingresso dirompente dei giapponesi nei mercati e della qualità nella gestione aziendale iniziava a manifestare le sue prime devastanti e rivoluzionarie conseguenze.

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