Coscienti dell’importanza di riuscire ad operare in organizzazioni che apprendono, dobbiamo anche chiederci se noi dobbiamo o possiamo avere un ruolo in questo processo di apprendimento. Si può scoprire quanto ognuno di noi è in grado di “Accendere le menti”. Questo è il titolo con il quale Ray Smilor ci propone una serie di indicazioni sul ruolo di formatore che ognuno di noi può svolgere in modo più o meno consapevole e quindi anche in modo più o meno efficace.
Basti considerare che l’apprendimento organizzativo passa attraverso l’apprendimento dei singoli individui ed ognuno di noi in questo contesto può trasmettere ad altri una quantità di conoscenze quanto mai varia. Nel farlo si creano sistematiche occasioni di apprendimento e il singolo da discente in talune occasioni può divenire “docente”. Nello svolgere questo ruolo atipico (a meno che non sia stato scelto per professione) ci sono alcuni aspetti che Smilor ci suggerisce di tener presenti. Questi dovrebbero aumentare l’efficacia di questi nostri “momenti” in cui “insegniamo” ad altre persone. Si muove da una premessa: “Nessuno è formatore nato. Acquisendo esperienza, imparando da altri insegnanti, con l’aiuto di mentori e cogliendo i momenti strategici della formazione, quelli in cui l’apprendimento può avere un maggior risultato, il formatore impara a gestire un’aula, a orchestrare un programma di studio. Ad applicare tecniche di formazione efficaci a incidere positivamente sulla vita dei propri discenti” (Smilor, Accendere le menti, pag.31).
Tuttavia, ci sono tre fattori che, secondo Smilor e che io condivido appieno, portano una persona a divenire un formatore efficace e poterlo addirittura fare di professione ancorché non unica:
a) deve essere appassionata all’argomento sul quale è chiamata ad intervenire;
b) deve avere una profonda empatia per gli altri e la voglia di comunicare loro le proprie conoscenze;
c) per quanto l’interlocutore sia sfidante, la sfida viene accettata poiché non si vogliono avere rimpianti dopo.
Sono molti i suggerimenti di Smilor che risultano utili a chi debba (meglio secondo l’autore usare il verbo volere: voglia) preparare un’efficace presentazione in un contesto formativo tradizionale (dalle elementari all’Università) o in altro contesto come l’aula di una Business School, un’associazione o all’interno della propria realtà organizzativa. Questi riguardano:
1. i diversi stili di apprendimento delle persone;
2. la “novità” con la quale si riescono a presentare anche concetti “conosciuti”;
3. creare le premesse poiché l’interlocutore/i si “emozioni/no” (immagini, video, spot musicali…)
4. “Saper sempre dove si trovi la propria testa” per far tesoro delle esperienze, anche di quelle che si vivono insieme: “Un formatore è come un istruttore in una discesa di rafting che usa il potere dell’esperienza nelle sue lezioni. I discenti imparano facendo. In un certo senso l’apprendimento esperienziale è un processo che consiste nel sapere sempre dove si trova la propria testa” (op.cit. pag.120);
5. Effettuare un’attività di debriefing per sistematizzare e interiorizzare le esperienze
Per la trasmissione delle conoscenze possono essere utili anche alcuni degli esercizi presentati in Appendice dall’autore. Ad esempio ho trovato interessante l’esercizio n.10: Il peggior Business di sempre! Dove si chiede agli interlocutori di attivare un processo di generazione delle idee che porti alla creazione di un’impresa destinata a fallire. Suggerimento che ci richiama il saggio “sbagliando si impara”, ma meglio farlo in “ambiente protetto”.
Tutto ciò posto, resta la rilevanza di questa trasmissione di conoscenze. È infatti sempre premessa per attivare processi di innovazione sia nelle cose da fare o nel modo di fare le cose (processi) sia in quello che si offre sul mercato (prodotto/servizi). Accedere la propria mente è sempre molto stimolante, soprattutto se siamo convinti che sia già accesa.
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