L’appena riportato titolo dell’ultimo lavoro del gruppo di ricerca guidato da Mario Deaglio e dal Centro Luigi Einaudi è emblematico della fine di un’epoca e dell’inizio di un nuovo periodo. L’”economia dell’abbastanza” è il frutto di una serie di congiunzioni astrali. Prima fra tutti l’illusoria globalizzazione, che tanto aveva entusiasmato i sostenitori della crescita infinita. Nel precedente saggio il gruppo di studio ci aveva avvertito: avremmo vissuto nel mondo post globale.
Ma oggi si può precisare che ci saranno nuovi accordi tra i Paesi per condividere mercati, avendo al centro la Cina (in passato mai così centrale) con un’Europa che dovrà dimostrare di essere capace di essere una potenza economica. Il che avverrà solo quando saranno messi da parte i sovranismi e avendo avuto il coraggio di eliminare chi non crede agli United States of Europe (es. Ungheria) a cui già Giuseppe Mazzini aspirava.
In questo contesto sono tanti i fenomeni che stanno, se pur lentamente, confermando la tendenza alla deglobalizzazione annunciata già in una precedente pubblicazione. In proposito l’Economist ha coniato un nuovo termine intrigante “slowbalitation” e la figura 1.1 evidenzia che i primi segnali di ritirata la globalizzazione li ha dati dopo la crisi dei mercati finanziari nel 2008.
Il mondo, passata l’euforia da crescita sostenuta e prolungata, dovrà fare i conti, come sottolinea nella Prefazione al libro Gian Maria Gross Pietro, con una redistribuzione più equilibrata tra i Paesi del progresso e questo con i suoi vantaggi ma anche i suoi svantaggi. Se ci si dovrà accontentare dell’”abbastanza”, dovremo un po’ tutti abbandonare disegni di crescita stellare e rimanere ancorati alla “terra”. Fra l’altro a questa dobbiamo maggior rispetto poiché rappresenta uno dei nodi che limita il nostro presente, ma avrà ripercussioni sul nostro futuro. Basta con l’assolutizzazione della crescita del fatturato e preoccupiamoci di capire meglio alcuni fenomeni che non sono così chiari nelle loro cause. L’inflazione del 2021, ad esempio, ha una rilevanza determinante nell’andamento dei costi energetici, a loro volta sospinti dagli eventi di guerra. Ma c’è una componente molto più preoccupante dovuta alle configurazioni di “supply chain” sempre più lunghe e decentrate nella parte orientale del mondo, spesso fisicamente molto lontane. Il mondo ad Oriente si è fermato per il Covid molto più a lungo che l’Occidente. Si sono rallentati i lavori per le nuove vie della seta e si è scoperta la nostra elevata dipendenza da questo nuovo mondo.
Le nuove vie della seta
Tra l’altro un altro fenomeno a cui si è prestata poca attenzione sono le conseguenze di uno squilibrio finanziario che è ancora l’onda lunga della crisi dei mercati del 2008 e che si è rinnovata con le recenti crisi di Silicon Valley Bank e di Credit Suisse. Si suggerisce, a firma di Angela Martiis, in una delle “finestre” che arricchiscono il lavoro, di non trascurare l’esistenza di “imprese zombie”. Sono i “morti viventi”, imprese in default che nonostante tutto sono ancora inaspettatamente operative, anche se non si sa per quanto. Da ultimo ci sono dei cambiamenti nel contesto. Economico-sociale e nel mondo del lavoro che non sono solo legati allo smart working. Come evidenziato nella Figura sottostante, tratta dal lavoro coordinato da Deaglio: “l’ascensore sociale si è fermato e quindi la società rischia di spaccarsi”.
Resta aggiornato con i nostri contenuti attraverso la nostra newsletter.
Scopri Manage-Mind: i migliori contenuti di management sempre a portata di clic
Scrivi un commento
Devi accedere, per commentare.