Sono talmente preso a cercare nuove idee che ho dimenticato un anniversario: i 100 anni di Harvard Business Review compiuti nel 2022. Una rivista che in questo stesso arco temporale non ha certo fatte mancare idee nuove. Me ne sono accorto oggi, quando guardando date ed altri numeri, mi sono reso conto che siamo arrivati già a 102 anni. Per ricordare questa significativa ricorrenza è stato pubblicato prima un articolo dal titolo che incuriosisce The Ideas That Inspire Us (novembre-dicembre 2022). Questo è il frutto di 8 interviste ad altrettanti Ceo, a vario titolo qualificati, che hanno indicato i due temi per loro in quel momento critici: 1. la situazione dell’ambiente esterno che richiede innovazione e la capacità di sviluppare un pensiero fuori dagli schemi convenzionali; 2. La necessità di darsi un purpose (scopo) e una visione capaci di coinvolgere i vari portatori di interessi.

Successivamente, sempre in chiave celebrativa, è seguita la pubblicazione di un libro che ricordava alcuni dei contributi più autorevoli, offerti negli ultimi trent’ anni dagli autori attraverso le pagine della rivista. Nel volume sono state raccolte le “idee “nuove” che, nel non più recente passato, avevano influenzato l’evolversi delle teorie di management. In HBR AT 100 vengono presentate una quindicina di idee gestionali che, per il loro contenuto innovativo, hanno influenzato le prassi manageriali. D’altra parte Harvard Business Review è la destinazione principale per il pensiero gestionale smart, un po’ meno accademicamente curata di American Quarterly Review, ma un vero punto di riferimento per la diffusione di nuove idee. La raccolta con un’introduzione scritta dal caporedattore della Rivista, Adi Ignatius, “HBR At 100” presenta le voci più influenti dell’editoria manageriale che trattano gli argomenti più innovativi relativi alle loro ricerche. Tra questi studiosi:

-Michael E. Porter sulla strategia competitiva

-Clayton M. Christensen sull’innovazione disruptive

-Tim Brown sul pensiero progettuale (Design Thinking)

-Linda A. Hill parla del suo incarico come manager per la prima volta

-Daniel Goleman con la sua serie di articoli dedicati all’intelligenza emotiva e al suo impatto sui vari aspetti della gestione a partire dalla strategia

-Erik Brynjolfsson e Andrew McAfee sull’intelligenza artificiale

-Robert Livingston sull’equità razziale sul lavoro

-Amy C. Edmondson e Mark Mortensen sulla sicurezza psicologica

-Robert B. Cialdini sulla scienza della persuasione

-W. Chan Kim e Renee Mauborgne sulla strategia dell’oceano blu in un mondo sempre più ipercompetitivo (oceano rosso da presenza di squali)

-Gary Hamel e C.K. Prahalad sugli intenti strategici quali essenza per iniziare a connotare con elementi concreti la missione e più in generale la strategia; step fondamentale nella strategy execution

-Peter F. Drucker sulla gestione di sé stessi; il “grande. vecchio” del management americano aveva capito, come spesso prima di altri, la rilevanza delle soft skill.

Che chi legge sia un lettore di lunga data o che stia prendendo in mano un volume HBR per la prima volta, questo libro offre tutto ciò di cui c’è bisogno per comprendere le idee che negli ultimi anni si sono rivelate come le più critiche nella gestione d’impresa. Ma tra le idee nuove proposte da HBR che non si possono trascurare ci sono anche quelle dovute ad articoli usciti nei primi anni della rivista, e spero di fare cosa gradita nel ricordarli. Altre 10 “milestones” nella letteratura di management ci sembra siano state:

G. Donaldson: New Framework for Corporate Debt Policy (1978)

J. L. Heskett R. H. Hayes – W. J. Abernathy: Managing Our Way to Economic Decline (1980)

T. Levitt: Marketing Myopia (1960)

R. Vancil: What kind of management control do you need? (1973)

H. Mintzberg: The fall and rise of strategic planning (1994)

R.S. Kaplan: Yesterday’s Accounting undermines production (1984)

R. Katz: Skill of an effective administrator (1955)

P. Kotler – S. Levy: Demarketing, yes demarketing (1971)

J. Shank – E. Niblock: Balance “Creativity” and ”Practically” in Formal Planning (1973)

W. Skinner: Manufacturing – The Missing Link in Corporate Strategy (1969)

Da ultimo, sempre per ricordare i prestigiosi 100 anni della Rivista, segnaliamo il cofanetto che raccoglie gli articoli definiti. “HBR The Classics”, dove è anche inserito uno degli articoli seminali di Kaplan e Norton, dedicati alla Balanced Scorecard, ancora una volta da me curato nella sua edizione italiana (Originale Balanced Scorecard Measure that drive performance; trad.it. con il titolo Grandi Performance con la Balanced Scorecard). I Classici sono rintracciabili a questo link e sono facilmente recuperabili grazie ad Amazon; comunque, per farci “perdonare”, restiamo a disposizione della nostra community per qualsiasi indicazione si desiderasse avere su queste pubblicazioni e per organizzare, magari, una diretta con lo scopo di approfondire l’evento “HBR At 100”.

Per la precisione l’HBR Classics Boxed Set raccoglie: Peter Drucker’s bestselling “Managing Oneself”, “What Makes an Effective Executive”, and “The Theory of the Business”; Clayton Christensen’s inspiring “How Will You Measure Your Life?”; Daniel Goleman’s articles on emotional intelligence “Leadership That Gets Results” and “What Makes a Leader?”; author of Good to Great Jim Collins’s “Turning Goals into Results”; W. Chan Kim and Renee Mauborgne’s “Blue Ocean Leadership” and “Red Ocean Traps”; John Kotter’s “Managing Your Boss”; Jon Katzenbach and Douglas Smith’s “The Discipline of Teams”; Gary Hamel and C.K. Prahalad’s “Strategic Intent”; William A. Sahlman “How to Write a Great Business Plan”; Chris Argyris’s “Teaching Smart People How to Learn”; Theodore Levitt’s “Marketing Myopia”; Joseph B. Pine’s “Do You Want to Keep Your Customers Forever?”.

Questa stessa collana è stata poi quasi interamente curata anche nell’edizione italiana, sempre da Harvard Business Review Italia per i tipi Sole 24 ore. Ogni volumetto è dedicato ad un articolo che ha riscontrato un particolare successo editoriale e presenta il testo originale, una breve bibliografia, la traduzione italiana dell’articolo e un’introduzione di un consulente di direzione o di un docente italiani. In questo formato i singoli articoli possono essere acquistati come volumetti in blocco o singolarmente.

Scorrendo il breve elenco di articoli raccolti nei Classici si trovano molti titoli conosciuti e si può cogliere ancora meglio il ruolo di questa Rivista nella proposta e diffusione di teorie di management. Tanta autorevolezza non sempre è stata apprezzata nel nostro Paese. È stata snobbata sia dall’Accademia che dalla prassi aziendale. Una volta il Prof. Renato Tagiuri, l’italiano chiamato nel secondo dopoguerra a far parte della Faculty della prestigiosa Busienss School e da sempre coinvolto nei comitati scientifici della edizione italiana della Rivista, una volta, rattristato, mi disse: “Non riesco a spiegare ai miei colleghi di Harvard come mai la Rivista si vende in tutto il mondo e ha le sue edizioni in lingua spagnola, tedesca e francese, mentre da noi a fatica supera il break-even”.

La risposta è di natura culturale: in passato poteva sembrare un problema di lingua, ma poi è chiaramente emerso che si tratta di un problema legato alla scarsa diffusione della cultura manageriale nel nostro Paese. La presenza della Studio Ambrosetti, della Sda Bocconi (fine anni ’70 con i primi Master in Business Administration), dell’Ifap (la scuola delle partecipazioni statali diventata poi Iri Management), dell’Istud, e anche di altre Busienss School minori si è rivelata insufficiente. E Tagiuri a rattristarsi aveva ragione poiché questa testata ha avuto enormi peripezie. Stampata inizialmente da Arnoldo Mondadori e operativamente in parte seguita dalla Sda Bocconi, nel 1994 è poi passata al Sole 24ore. Dopodiché per alcuni anni non è più stata pubblicata. Dal 2007 ad oggi è ritornata sotto la direzione di Enrico Sassoon, perseguendo una rispondenza dei contenuti della rivista al tessuto industriale italiano, con l’introduzione di articoli a firma di autori del nostro Paese.

Peraltro, il contesto professionale rimane debole sugli strumenti e le soluzioni di management. Tuttavia, come manager italiani sembra che qualche risultato lo si riesca ad ottenere, grazie alle capacità di capire i problemi e risolverli, grazie al fare, ma anche con un’ arte e un “tocco” (una sorta di Olivetti Touch) che in altri Paesi non hanno: la creatività. Sarà vero? Lo scopriremo in uno dei prossimi Blog.

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