La caratteristica del “bastone da Hockey su ghiaccio” è che in basso è piatto e poi sale rapidamente (Figura 1)

Riportando questa immagine in azienda spesso si trovano strategie “Hockey Stick”. Sono strategie che prevedono per il primo anno del piano risultati “piatti”, frutto di azioni poco audaci, se non addirittura troppo prudenti, volte a minimizzare i rischi di risultati eco-fin poco soddisfacenti o non allineati con quelli ipotizzati. Questa interessante e azzeccata metafora è utilizzata da tre consulenti McKinsey che hanno, di recente proposto un libro per superare questa ipotesi di una strategia deliberata (C. Bradley-M. Hirt-S. Smit, 2018) con una ricercata “mitigazione dei rischi”, al fine di godere di benefici in termini di contrarsi del cost of equity (Ke) e quindi dell’entità del Roe espressione della capacità dell’impresa di creare valore economico per gli azionisti.

Ricordando l’elevata diffusione di questa teoria nelle imprese statunitensi, anche per i loro forti legami con Wall Street, si può intuire un frequente manifestarsi del fenomeno accennato. Con le mazze da Hockey si possono effettuare dei tiri meravigliosi, anche da lontano, e fare goal, ma ci vogliono audacia e competenza, completate anche con un po’ di fortuna. Talvolta è meglio non rischiare, soprattutto se si preferisce non rischiare il “posto in squadra”. Per cui si vedono con frequenza piani aziendali a “mazza da hockey”. Un futuro a medio termine in cui i risultati con fiducia salgono, ma si sono in una situazione di “ristagno” in coincidenza con i contenuti del budget dell’anno immediatamente successivo.

I Ceo preparati di solito fanno affidamento sulla loro esperienza e intelligenza negli affari per capire e se per quali business utilizzare i “bastoni da hockey”, dove sono realmente utili e dove lo sono meno. Ma troppo spesso prima di arrivare a deliberare, ci si fa frenare dalle competenze necessarie e che forse non ci sono, una difficile valutazione dell’affidabilità dei potenziali clienti, le rischiosità dei Paesi un cui si vorrebbe entrare. Tutti questi ed altri elementi possono offuscare il contesto e rendere le decisioni strategiche difficili. Per capire questi fenomeni non serve, secondo gli autori, un nuovo modello strategico. Più contributivo potrebbe essere cercare di analizzare ed interpretare un altro aspetto: le dinamiche sociali nella “strategy room”, dove si discutono e si deliberano le strategie. Lavorando sui dati di alcune grandi aziende, i tre consulenti McKinsey nel loro Strategy Beyond The Hockey Stick aprono le finestre su questa stanza “magica” e aiutano a capire cosa succede in quella stanza.

Così, sono stati osservati tre gruppi distinti di realtà aziendali: il quintile inferiore di queste realtà con consistenti perdite economiche; il 60% lungo, piatto, mediamente con un risultato economico modesto, quelle che appaiono con strategie e conseguenti piani da “mazze da Hockey”; e il restante 20% quello che genera nel tempo e con continuità valore economico. Alcune aziende della fascia intermedia riescono anche ad ottenere prestazioni accettabili Ma è emerso che solo 1 su 12 tra queste imprese riesce a saltare dal livello intermedio al livello più alto in meno di 10 anni. Questo non accade per magia o per caso. I casi analizzati mostrano scelte per migliorare le probabilità di successo capitalizzando quanto fatto sino a quel momento, individuando e cavalcando le giuste tendenze e, soprattutto, osando qualcosa più che in passato, facendo alcune “grandi mosse” giuste. Per realizzare queste grandi mosse, si sono dovute superare l’inerzia, la mancata capacità di mettersi in gioco e l’avversione al rischio. Si devono mitigare i pregiudizi umani e gestire le dinamiche del gruppo di vertice.

I tre autori indicano 8 “grandi mosse” che possono aiutare a realizzare strategie più audaci e con buone probabilità di successo. Di queste, ne ricordiamo 5:

1) riallocare le risorse per concentrarsi sulle migliori opportunità, non disperdersi su tante alternative pur di mantenerle aperte,

2) implementare un piano di investimenti importante: investire per crescere,

3) confrontarsi con la concorrenza per agire in modo più efficace,

4) guidare la differenziazione in modo aggressivo, è finita l’era del vantaggio competitivo difendibile,

5) condurre attività di M&A pianificandole nell’arco di un certo numero di anni.

Ma sono le altre tre “mosse”, quelle volte a domare gli impatti sociali attraverso una serie di comportamenti che richiedono, per riuscire ad alterare le conversazioni nella “strategy room”, persone con profili individuali tali da caratterizzarsi per una elevata disponibilità al cambiamento e per una cultura attente all’innovazione. Insomma questo lavoro, come sottolineato nella presentazione:

“non vuole essere un altro manuale che descrive un nuovo e più efficace approccio alla formulazione della strategia. Non è un altro arrancare attraverso strutture o casi di studio su piccola scala che promettono una formula segreta per il successo. È una versione irriverente, basata sui fatti e talvolta divertente di ciò che avviene in quella stanza e che dipende dagli attori in gioco, dal loro ruolo, dai loro valori personali e dalla loro propensione al rischio. È questa la miscela nella quale avviene il processo decisionale strategico”. Sembrerebbe un libro destinato ad essere un bell’esempio di quel processo iniziale secondo il quale, come direbbe Mintzberg, si passa dalle strategie intenzionali di molti, nella testa di manager e planners, alla strategia deliberata, quella che esce dalla “strategy room”. Una strategia che potrebbe essere destinata a rinviare al futuro le azioni che andrebbero intraprese oggi.

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