Suggerimento n°1: imparare a “gestire sé stessi”

Molti studiosi di management ci sono arrivati dopo, qualcuno non ci vuole arrivare. Peter Drucker già nel 2008 ne ribadiva l’importanza. È importante conoscere sé stessi per valorizzare al meglio le proprie attitudini nelle attività in azienda. Quest’idea nasce dall’osservazione di numerose esperienze aziendali vissute come consulente e oggi riscoperte, sottolineando nella gestione di impresa la centralità delle persone con i loro pregi e i loro difetti personali. Oggi le chiamiamo soft skill, ma spesso non siamo coscienti del ruolo “organizzativo” che queste possono svolgere. Pertanto ritengo utile aprire una serie di post che desiderano richiamare alcuni di quelli che riteniamo i grandi contributi di questo studioso austriaco, trasferitosi poi negli Usa. In particolare, il suo articolo Managing Oneself (articolo dell’Harvard Business Review originariamente pubblicato nel 2008 e poi inserito, anche in italiano, nella collana HBR i classici) suggeriva una serie di elementi sui quali cercare di conoscersi, per potersi gestire.

L’articolo si apre suggerendo di cercare di capire quali sono i propri punti di forza e per farlo applicare l’analisi del feedback, verificando, su archi temporali di due-tre anni, la differenza fra i risultati ottenuti rispetto a quelli che ci si aspettava di conseguire: ad esempio su quanto si sia bravi nelle relazioni con altre persone o si sia capaci sul piano della comunicazione verbale piuttosto che su quella scritta. In particolare, l’analisi del feedback consente anche di capire che cosa sia meglio non fare. Strettamente collegata all’analisi del feedback c’è anche la comprensione se si è più ascoltatori o oratori (magari con discorsi da un valido staff). E come terzo elemento Drucker suggerisce di capire qual è tra i molti possibili il nostro stile di apprendimento, in modo da facilitarlo in tutte le esperienze concrete, lavorative e non. In proposito, ognuno ha un proprio stile di apprendimento. Alcuni tra quelli possibili sono: visivo, uditivo, cinestetico, quello basato sulla trascrizione di quanto osservato o quello fondato sul fare. Conoscere il proprio stile aiuta a imparare più efficacemente superando, come sottolineato da Argyris a Edgar Morin, il problema che spesso le persone adulte non sanno come continuare ad imparare. Spesso utilizzano modelli scolastici che limitano la loro crescita. Si tratta, come direbbe Edgar Morin, di “riapprendere ad apprendere”. A questo punto nell’articolo si suggerisce di chiedersi in quali condizioni di lavoro si sia più efficaci:

sotto pressione oppure no;

lavorando in gruppo o da soli;

proponendosi come leader o come follower;

Capite le proprie preferenze, se possibile, si adatteranno le situazioni di lavoro che corrispondono alle modalità preferite. Bisogna individuare le proprie attitudini poiché sono quelle frutto dei primi venti anni della nostra vita, solitamente prima della vita lavorativa. A differenza delle competenze queste sono quasi impossibili da cambiare. Ed ancora, quando ci si deve impegnare in un’attività lavorativa in una realtà aziendale, anche quando si è i titolari, è importante chiedersi: “Quanto i tuoi valori personali sono compatibili con quelli dell’azienda?”: Più c’è consonanza più ci si muoverà nella medesima direzione, con comportamenti allineati. Qualora invece ci sia un conflitto tra valori personali e valori dell’organizzazione nel caso non si sia l’imprenditore, il risultato nel rapporto tra le persone sarà frustrazione, insoddisfazione o fallimento.

Inoltre è meglio chiedersi “Quale può essere in un’organizzazione il mio contributo?” piuttosto che preoccuparsi della carriera che in quella realtà si può fare. Ovviamente lo sforzo di capire sé stessi va esteso ed applicato alla gestione delle relazioni con gli altri. Ed anche qui c’è:

da interrogarsi su quali siano i punti di forza, i valori e i modi di lavorare dei collaboratori e dei colleghi

comunicare le proprie aspettative e le proprie modalità di lavoro.

considerare la responsabilità reciproca nella comunicazione e nella collaborazione

Poi nella parte conclusiva del suo articolo Drucker si sbilancia nell’offrire anche qualche suggerimento a come prepararsi alla seconda metà della vita a quando arriverà il momento della pensione. E in proposito suggerisce: o una seconda vita professionale in un nuovo ambito (es. volontariato, insegnamento, consulenza); o in una nuova organizzazione; o coltivando un “secondo interesse” magari coltivato già in gioventù. Così seguendo questo suggerimento, dopo essermi divertito nella vita lavorativa come innovatore, mi sto preparando per ritornare a suonare chitarra e basso elettrico. Ma il contributo consente di precisare un tema cruciale: se si cerca di gestire il proprio profilo personale e cercare progetti lavorativi cui partecipare il più possibile allineati, si potrà conseguire un’elevata convergenza tra comportamenti auspicabili e motivazione/soddisfazione delle persone chiamate a muoversi in tale direzione. Per contro quando c’è scarso “allineamento” tutto diventa più difficile e si creano potenziali tensioni.

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