Dopo qualche anno di entusiasmo per la globalizzazione ci si è accorti di quanto fosse difficile, se non impossibile. Prima si è passati dal global al glocal e adesso il “globale” sembra proprio essere al tramonto. Questa tesi è quella proposta nel libro frutto delle ricerche di un gruppo di economisti guidato dal Prof. Mario Deaglio. Questo stesso gruppo nel 2016 in un precedente rapporto annuale si domandava Globalizzazione addio? La risposta positiva di oggi è condivisibile, come plausibili sembrano essere anche le cause che l’hanno determinata. Cause che potrebbero ripetersi in tempi anche brevi cancellando in modo progressivo se non definitivo quella che mi era sempre sembrata una “grande illusione”. Tutte le multinazionali italiane, europee ed americane, da me seguite dal 2000 in poi, mi suggerivano quest’idea. Il prodotto/servizio offerto andava sempre adattato alla specifica area geo-politica-culturale servita. Si diventava di necessità “glocal”. Così questo è successo tra le altre ad aziende come Diesel, Autogrill, Air Liquide, Boehringer Ingelheim, Bosch, Knauf e Ideal Standard.
Torino, presentazione del libro M. Deaglio (a cura di) Il mondo post globale, Guerini & Associati
Come suggerisce il libro, che quest’anno è frutto della collaborazione tra Centro Einaudi e Intesa Sanpaolo e che prosegue la ormai venticinquennale esperienza del Rapporto Annuale sull’economia globale e l’Italia, il 2022 ha segnato una svolta epocale. Chiude sostanzialmente il primo ventennio di questo nuovo millennio con un ridimensionamento delle ipotesi di una crescita infinita dell’economia a tassi elevati.
Figura 1 – Una conferma del Fondo Monetario Internazionale: una crescita flat per l’economia mondiale nei prossimi 5 anni
per riportarci con estrema concretezza a problemi che arrivano da lontano; alcuni di questi addirittura arrivano da gestioni superficiali attuate nel XX secolo:
-Crisi climatico-ambientale, a cui taluni osservatori rimettono una buona percentuale di elemento causante la
-Crisi pandemica, che con i suoi lockdown più o meno ampi e prolungati ci ha abituati alle mascherine e ha determinato la
-Crisi economico-sociale, iniziata nel 2008 ed interrotta solo in alcuni settori dal Covid che ha portato le persone a ripensare a sé stesse (un esempio i ripetuti “liberi tutti” registratisi dal 2021-22) e alla casa come bene nel quale investire;
-Crisi geopolitica con guerre o focolai di guerre, civili e non, che non sono solo Russia-Ucraina (peraltro iniziata come scontro tra le due nazioni nel 2014), ma riguardano ad esempio anche l’Afghanistan per non parlare della recente crisi interna iraniana;
È interessante nel libro la riflessione sulla differente risposta, per vari motivi, data dagli Stati Uniti e dall’Europa alla crisi pandemica. Un Biden, che da neo eletto e poi recentemente in prossimità delle elezioni di mid-term, per contrastare la pesante progressiva perdita di consensi elettorali ha dovuto cercare di evitare situazioni di recessione economica con interventi che hanno ritardato azioni anti-inflazionistiche. Inoltre negli Stati Uniti, come mai prima della pandemia, è aumentata la domanda di abitazioni ed è diminuita la domanda di autovetture. Mentre l’Europa ha prioritariamnte contrastato la pandemia e dopo aver pagato un prezzo molto alto nei mesi immediatamente successivi al marzo 2020, ha imboccato in molti settori robusti sentieri di ripresa economica. Unico neo europeo un’inflazione in parte indotta da azioni speculative interne su gas e metano e mancanza di un’immediata reazione comunitaria.
Certo l’Europa che, come si suggerisce nel libro, cerca ancora, e lo farà per qualche anno, di diventare europea è la realtà. È su questo tema che ci vuole impegno da parte di tutti i principali attori, poiché la prosperità economica del nostro Paese nel prossimo futuro dipenderà anche da tale evoluzione. Non dipenderà solo dal nostro mercato interno, ma dal più ampio mercato che sta intorno e vicino a noi. D’altra parte, è quello che intuirono i padri fondatori delle diverse istituzioni aggreganti a livello europeo, Cee prima, e Unione Europea poi. La Comunità europea per il carbone e l’acciaio è del 1951 (Parigi). Da allora qualche passo in avanti è stato fatto (ad esempio la creazione della BCE nel 1998), ma si è pensato, grave errore, ad aumentare le dimensioni, aggregando nuovi Paesi ai nove inziali della Cee. Questo ha frenato la crescita associativa e aumentato alcuni squilibri economico-sociali esistenti tra i nove, ma nettamente inferiori rispetto a quelli esistenti nei nuovi Paesi che si sono aggregati e forse si aggregheranno in futuro.
Resta un fatto, come sottolinea Gian Maria Pietro-Gros, nella sua presentazione del lavoro: “Il venir meno di alcuni capisaldi della globalizzazione quali le filiere di approvvigionamento (minate da tensioni commerciali che precedono il coronavirus e il conflitto regionale europeo) non sposta, tuttavia, il focus del lavoro, che non analizza l’economia italiana come una monade avulsa dal contesto internazionale. Al contrario il nostro Paese, mai escluso dalle dinamiche competitive globali, ha la necessità di inserirsi correttamente nella nuova realtà e agire di concerto con i propri alleati strategici e i propri partner commerciali per avere un ruolo di rilievo nell’attuale transizione economica e ecologica”.
Per farlo però, ci ricordano alcuni degli autori del libro, l’Italia deve avere coraggio di cambiare. Questo è il contenuto del quarto ed ultimo capitolo. In questa direzione va la proposta di quattro riforme necessarie:
1. Una riforma fiscale che renda conveniente lavorare ed investire;
2. Una revisione della disciplina fiscale sulle fusioni o le aggregazioni di imprese per spingere numerose piccole imprese a crescere dimensionalmente;
3. Restituire slancio e ottimismo ai consumi e ai progetti delle famiglie, anche perché le nascite stanno precipitando;
4. “Per rafforzare insieme il circuito consumi e il capitale umano, bisognerebbe, in forma sperimentale, legare la settimana lavorativa di quattro giorni a fruizione di formazione continua”.
Queste sono alcune delle azioni che si potrebbero intraprendere. Ma lo stesso Deaglio, nella Postfazione-Riflessione conclusiva, citando questa frase di Massimo Cacciari in un suo articolo apparso su La Stampa: “In un salto d’epoca nulla è destinato a fare ritorno, in questa prospettiva chi può, deve agire” ci ricorda che oltre “a chi può deve agire” ci dev’essere da parte di intellettuali, politici, imprenditori un’attenzione particolare poiché “chi può, deve osservare” e aggiungerei e se poi “può deve suggerire i cambiamenti”. Certo, questi cambiamenti secondo Deaglio, al quale mi associo, difficilmente saranno il frutto dei molti pensatori e scuole di pensiero del passato.
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