Il 24 marzo alla Harvard Business School (Hbs) hanno organizzato un seminario per celebrare il contributo scientifico di Michael Porter agli sviluppi di un modello per la definizione di strategia aziendale e di possibili argomenti che ne costituissero una sempre maggiore comprensione. Astraendo dalla pratica aziendale, osservata anche attraverso lo splendido patrimonio di casi aziendali della Hbs, dei numerosi lavori di Michael Porter segnalo sempre almeno questi tre:
La loro sequenza logica è stata perfetta. Il maestro di Michael Porter; Kenneth Andrews (Hbs) quando nel 1981 scrisse The Concept of Corporate Strategy, definì le fondamentali aree alle quali doveva interessarsi la formulazione della strategia. Le fondamentali scelte strategiche rispondevano a due grandi quesiti: “dove competere” e “come competere”. Dopo la Business Policy nasceva la Corporate Strategy (Strategia aziendale). Guidato da questo modello Porter diede un primo contributo che rispondeva alla prima domanda. In Competitive Strategy (1980) venivano indicate le 5 forze competitive che caratterizzavano l’attrattività e la profittabilità delle diverse industries nelle quali un’impresa poteva decidere di entrare. Tali forze erano: i competitor con i quali, più o meno direttamente l’impresa doveva confrontarsi; i clienti e i fornitori con il loro più o meno elevato potere contrattuale; le imprese che offrivano prodotti sostitutivi e le barriere all’ingresso nell’industries che potevano essere più o meno elevate. Tanto più queste forze esercitano una pressione sul mercato quanto più le singole industries si presentano come poco attrattive.
Competitive Advantage (1985), il secondo lavoro fondante, era invece dedicato a rispondere alla seconda domanda suggerita da Andrews. In questo contributo partendo dall’idea rivoluzionaria della “catena del valore” (value chain) si proponeva una rilettura di una serie di possibili strategie competitive che avevano i loro estremi o in una strategia di leadership di costo o in una strategia di differenziazione. Due estremi lungo un continuum senza soluzioni di discontinuità. Inoltre grazie alle attività (di supporto e quelle primarie per il business che si svolge) inserite nella catena del valore nasce una variabile sino ad allora poco valorizzata: la variabile denominata dirivers. Non tutti capirono quelle proposte etichettando il primo come uno studio di economia industriale e il secondo come un framework troppo vincolante date solo le due possibili strategie. Così Porter dovette nel 1966 precisare What is strategy (Hb Review) e cosa non è, evidenziando come molte soluzioni gestionali non sono strategia, anche se hanno una ricaduta e una valenza strategica.
A costringermi a recuperare questa vista sulla strategia aziendale è stato Roger Martin. Martin, sempre più seguito dal popolo del management, nel suo ultimo contributo, tra quelli ricorrenti nella Newsletter Medium Daily Digest, titolava: “Michael Porter’s Three Great Strategy Contributions”. Ed in questo breve articolo sottolineava quelli che a suo avviso erano i tre grandi pregi del lavoro di questo studioso dell’Hbs: ha salvato., ha rafforzato, ed è stato provocatorio (He Saved, He Bolstered, and He Provoked). A questo link è possibile ritrovare il contributo di Martin.
Ha salvato l’Accademia dall’oscurità sui temi di strategia e da situazioni imbarazzanti come quelle createsi con le società di consulenza strategica. Vere propositrici di approcci più o meno semplicisti come quelli basati sulle matrici e le strategie di portafoglio (Bcg, McKinsey, Arthur de Little). Ha rafforzato questa specifica area di studi creando e sostenendo un movimento scientifico che prendesse le distanze da una strategia che non poteva esistere senza la pianificazione, che negli anni è poi stata sempre più correntemente interpretata come un momento per l’attuazione della sua strategia e non la sua formulazione. Si afferma definitivamente il pensiero che può esistere in azienda una strategia anche senza la pianificazione. È stato provocatorio quando ha suggerito che l’attenzione al cliente nel manovrare quelle che erano le tradizionali 4P del marketing (Prodotto. Prezzo, Place – luogo, Promotion) e nel formulare strategie di differenziazione, mettevano in forte discussione la separazione tra Strategia e Marketing. È anche per questo che, si ritiene, nacque il Marketing strategico, seguito poi dal controllo di gestione che anch’esso diventava strategico.
Anche alla luce di queste ed altre riflessioni si può condividere con Roger Martin l’idea che la strategia con Porter abbia trovato una sua collocazione trasversale rispetto alle altre aree di studi, sviluppandosi dall’originaria generica vista da Business Policy. E dalla sua articolazione in politiche aziendali per aree funzionali, che diventavano pericolosi “silos”. Porter ha continuato ad offrire contributi interessanti come quello sulla Shared Value, tema del quale ci siamo recentemente occupati in un webinar. Naturalmente qualcuno ha anche criticato questo studioso e per mettere tutti a tacere non restava che chiarire il pensiero di Michael Porter. Ci ha pensato Joan Magretta, una sua assistente con un libro dal titolo significativo “Understanding Michael Porter” (2012). Nonostante ciò qualcuno non ha ancora capito, non riesce a capire o forse non vuol capire.
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