Finalmente, come in altri Paesi, anche in Italia “sbarca” l’Università bostoniana con una delle più importanti Business School americane: la Sloan Management School. La rivalità e la competizione con Harvard e la sua Business School mi ricordano quelle tra Politecnico di Milano – Mip e Università Bocconi con la Scuola di direzione aziendale (Sda). Rispetto al contesto italiano le due business school bostoniane sono ancora oggi più avanti, ma non più irraggiungibili. In questa direzione muove l’idea dell’edizione italiana delle due blasonate riviste americane (Harvard Business Review e Sloan Management Review), con contributi anche di studiosi italiani e con Editor di prestigio: Enrico Sassoon e Francesco Varanini. In più per la Sloan Management Review Italia c’è la proposta distintiva di realizzare dei numeri monografici. Questa proposta lanciata da Varanini sta incontrando nel nostro Paese particolare successo. Questo elemento di originalità lo si può cogliere anche scorrendo gli argomenti trattati dalla rivista nei primi nove numeri monografici dell’edizione italiana, sin qui pubblicati, che sono:

– n° 1 – 2022 La via italiana al digitale
– n° 2 – 2022 Umani e macchine
– n° 3 – 2022 Una leadership per le reti organizzative
– n° 4 – 2022 Start up o impresa destinata a durare?
– n° 1 – 2023 Gemelli digitale
– n° 2 – 2023 Embeddedness – Le radici dell’economia
– n° 3 – 2023 Economia del tempo libero
– n° 4 – 2023 La Manifattura al comando della logistica
– n° 5 – 2023 Progettare nella complessità.

Per chi desideri visionare l’indice ed il contenuto dei vari numeri, per l’eventuale decisione di acquisto, anche di singoli numeri, può visitare questo link.

Ma lo “sbarco” si completa grazie alla collana di libri The Future of Management che con passione Alberto Mattiello sta sviluppando sotto l’attenta supervisione dell’Editor In Chief Abbie Lundberg, che presidia con egual maestria l’edizione americana della Sloan Management Review. Il terzo volume di questa collana, appena pubblicato è Disruption. Guida per navigare i cambiamenti estremi (Guerini Next, Milano 2023), dove, prendendo spunto da un’intervista a Clayton Christensen cui si deve l’idea di “disruptive innovation”, la trattazione si apre ad una lettura particolare dell’innovazione. I contributi dei vari autori si susseguono partendo dall’insight di A. Mattiello (Tutto. Dappertutto. Tutto assieme. Ora) per transitare da quella di Paolo Taticchi l’altro curatore del libro che titola: La disruption dell’AI nell’educazione.

Ben sintetizza i contenuti di questa raccolta il saggio conclusivo di Giosuè Gans (Cambiare tutto o non cambiare niente) che chiude con un interrogativo che molte startup si pongono: “To disrupt or not to disrupt?” La risposta è spesso legata al contributo che la tecnologia offre nel rendere disponibili a molti quello che prima era per pochi. Resta il fatto che l’impronta tecnologica della ricerca e della formazione all’MIT lo accredita come punto di riferimento per l’individuazione e la valutazione dell’impatto delle tecnologie abilitanti sulla strategia aziendale e sulle principali variabili della gestione d’impresa.

Queste tecnologie nella loro varietà (vedi lo schema proposto dal Boston Consulting Group), che ci hanno portato rapidamente a parlare di Industry 4.0, si alternano nella letteratura in termini di enfasi ed attenzione loro prestata. Superata la fase dello smart working oggi è il momento della Artificial Intelligence (A.I.). Negli ultimi numeri della SMR lo spazio dedicato a questa dimensione è stato crescente per giungere a numeri della Rivista in larga parte dedicati a questa tecnologia che cambierà in modo significativo il modo di fare management e porrà questioni etiche sul modo con cui utilizzarla.

Ma anche in questo mi sento vicino al pensiero di Francesco Varanini, efficacemente espresso nel suo libro “Macchine per pensare” (Guerini e Associati, Milano, 2015). Il titolo già dice molto sull’opportunità che si presenta agli individui. Lui stesso, nell’introduzione a questo lavoro, che vuole rappresentare un primo volume di un trattato molto più ampio, scrive: “In questo libro parlo dell’arte del pensare in modo originale. E dell’informatica colta nella sua doppia natura: vincolo imposto al pensiero, o all’opposto strumento per liberare il pensiero dai vincoli” (op.cit.pag.25). Avremo, se lo vorremo, più tempo per pensare.

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