Ci sono tante caratteristiche che l’impresa che opera in un contesto ipercompetitivo deve avere. La prima è associata alla rischiosità del contesto ambientale nel quale si opera: la discesa lungo le rapide di un fiume. Fare rafting è rischioso. Emozionante, ma rischioso. Se si rischia molto deve valer la pena correre quel rischio. Così, come insegnano anche i mercati finanziari, l’impresa dovrebbe riuscire a realizzare una Redditività potenziale alta e l’attività deve sodisfare, in termini di scariche di adrenalina, le aspettative di chi pratica la discesa. Se si muove da queste riflessioni, come deve essere l’impresa ipercompetitiva, quella che riesce ad operare in modo efficace in ipercompetizione?
L’esperienza consente di formulare almeno 3 suggerimenti:
1. Si deve conoscere molto bene il fiume dove sempre più spesso oggi ci sono le rapide: conoscenza del cliente e capacità di leggere la sua realtà, quello che lui vuole in termini di “jobs to be done”; che utilizzo fa il cliente del prodotto/servizio che l’azienda gli propone;
2. Le rapide sono insidiose sia quando piove poco che quando piove molto, ma le insidie, ci insegna la natura, sono differenti nei due casi;
3. Non serve pianificare nei dettagli ma è opportuno individuare prima della discesa, anche in base all’esperienza, le “traiettorie strategiche” che, con maggior probabilità, consentono di arrivare in fondo vivi.
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Nel 1994 quando lessi il libro di Richard d’Aveni capii che si trattava di un’intuizione geniale e mi misi a studiare se e quanto l’ipercompetizione fosse realmente una condizione di business diffusa e con la probabilità di non concludersi nel breve termine. In questo sollecitato dalle riflessioni del prof. Gianni Lorenzoni in sede di prefazione dell’edizione italiana. Avevo avuto occasione di apprezzare Lorenzoni, che insegnava all’università di Bologna, in occasione di alcuni interventi da lui tenuti alla Scuola di Direzione Aziendale della Bocconi. Prestai quindi particolare attenzione ad alcune sue frasi. Con lui lavorava Andrea Zanoni con il quale avrei poi avuto modo di condividere la centralità e la complessità che andava assumendo il processo di approvvigionamento in un contesto ipercompetitivo. Con un ruolo crescente dei fornitori, che dopo pochi anni era passati dall’essere “nemici” a diventare partner del business.
Approfondendo nella loro varietà questi temi notai, come accennato, una notevole rispondenza in termini di metafora tra le caratteristiche dell’ipercompetizione e il rafting. Così, dopo aver scartato la pallacanestro (dove una serie di elementi sono rilevanti: la partita o si vince o si perde, fondamentale è essere veloci, la composizione del team e così via) e il football, mi fissai, per la notevole rispondenza di immagini e di situazioni che si creano, sulle discese delle rapide e sul rafting. Ne approfondii anche le caratteristiche e una serie di elementi tornavano perfettamente. Talvolta le rapide si alternano a punti in cui il fiume sembra con acque tranquille. Se non si “cerca di prevedere” il corso del fiume, quando ci si accorge che ci sono le rapide sentendone il rumore in quel momento è troppo tardi per evitarle. Le rapide vanno individuate molto prima se si desidera evitarle, anche se non è detto che si possa evitarle.
Figura 1 – Rafting in Umbria in prossimità della cascata delle Marmore (si rammenta per chi volesse provare quest’esperienza in ambiente protetto alcune fra le molte possibilità di fare rafting in Italia: a Morgex sulla Dora, in Val Sesia e sul Brenta)
Ciò che stupisce è che queste rapide si sono create, causa i cambiamenti climatici, anche in fiumi che per lunghi tratti, in passato, risultavano dalle acque tranquille, anche se magari scorrevano anche a ritmi elevati, ma senza punti insidiosi. Come cercare di rispondere in simili situazioni?
L’impresa che desideri muoversi con efficacia in un contesto ipercompetitivo è opportuno che:
a. abbia una struttura capace di adattarsi alle rapide e alle esigenze di rapidi cambiamenti di “direzione di marcia” (per il rafting solitamente si utilizza il gommone),
b. abbia un team a bordo con un obiettivo strategico molto chiaro: arrivare in fondo alle rapide vivi e possibilmente ancora a bordo del gommone,
c. ci si doti di alcuni strumenti per mitigare i rischi della discesa, giubbino salvagente e caschetto protettivo.
Oltre a queste indicazioni, presentate anche in miei precedenti contributi sull’argomento, sono tornato a leggermi i testi fondanti di Richard D’Aveni. L’inflazione sta infatti ravvivando l’ipercompetizione. Così ho ritrovato in “Hypercompetition Rivalries” (R. D’Aveni, 1995), che tra gli elementi che alimentano ipercompetizione e che possono essere anche una risposta a questa situazione vi è la capacità di innescare una disruptive innovation. Questa, secondo l’impostazione teorica del suo ideatore, Clayton Christensen (Hbs), è quell’innovazione che grazie ad un utilizzo particolarmente efficace e originale della tecnologia, rende un prodotto/servizio che prima era per pochi a qualcosa che può essere fruito da molti. Ne è un esempio interessante Ikea con le sue soluzioni di montaggio degli elementi di arredamento.
D’Aveni, in questo suo secondo contributo, evidenzia che la “battaglia ipercompetitiva” si vince solo se tre fattori sono tra loro coerenti (si veda la figura della quarta di copertina del libro): 1. la visione strategica; 2. la pianificazione delle capabilities, per disporre delle risorse e delle competenze necessarie; 3. le azioni che a livello tattico facilitano, attraverso un corretto dispiego delle risorse (allocazione delle risorse), 4. l’attuazione della visione strategica.
Tutto questo deve allertarci poiché l’ipercompetizione almeno sino al 2030 tenderà ad aumentare e qualcuno verrà travolto dalle rapide.
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