Ci si sta addormentando. Già prima del Covid le aule delle Business School si stavano svuotando e il numero dei corsi in house erano scesi in modo sensibile. Il fenomeno si è poi accentuato: quasi che non ci fosse più un futuro. Tutti più attenti a cogliere il suggerimento di Orazio “Carpe diem”.
Fortunatamente qualcuno si è svegliato da questo torpore e ha sottolineato: delle persone non servono più solo le braccia, ma anche la testa e possibilmente, come direbbe Edgar Morin, con “una testa ben fatta”. E ci si è svegliati sia al di qua (London Business School) che al di là dell’Atlantico (Massachusetts Institute of Technology – Mit). In particolare, la scuola del MIT, da sempre molto attenta ai temi dell’apprendimento (learning), ha pubblicato di recente un articolo di G. Petroglieri, Learning for a Living (Sloan Management Review, Winter 2020), pubblicato poi nell’edizione italiana della Rivista con il titolo “La formazione è vita” (Mit Sloan Management Review Italia, n.°4-2024).
Aggiungerei un altro aspetto: con la formazione non solo le persone vedrebbero allungare la propria vita “utile”, ma queste aiuterebbero l’impresa in cui lavorano a vivere di più e a migliorare la qualità della propria vita lavorativa. Le imprese, che al di là delle classifiche del tipo Great place to work, aiutano veramente i propri collaboratori a vivere di più e meglio sono il modello cui riferirsi. È in queste realtà che la sostenibilità non è a parole, ma nei fatti. Si deve individuare cosa fare per avere in azienda persone con la “testa ben fatta”.
Non è facile esprimere delle valutazioni sulla capacità della formazione di aumentare il valore di un’impresa. D’altra parte sono numerose le aree che ormai ci siamo rassegnati a catalogare come intangibili. Così in passato ero stato chiamato a cercare di valutare l’investimento in R&D, nei ricercatori e subito mi accorsi di un problema di valutazione dinamica: quanto una persona mi costa in termini di crescita e quanto valore genera in prospettiva. La scoperta fu che non era tanto sul valore assoluto che ci si doveva concentrare quanto sulle degerminanti, sui driver del valore. Ed ecco che emergevano come variabili fondamentali da valutare per interpretare il futuro: il livello delle competenze delle persone che lavoravano in ricerca, la loro età anagrafica e il loro vissuto aziendale.
Non c’è un valore, c’è un’esigenza di continuità nella capacità di una persona di generare la desiderata ed auspicabile performance. Esattamente, come succede per l’attività ricerca, siccome al centro delle organizzazioni ci saranno sempre più le persone, per non diventare “obsoleti” e uscire vincenti anche nei confronti dell’Artificial Intelligence (AI) bisognerà cercare di mantenere queste persone “aggiornate”. Ed invece, purtroppo non sono molte le realtà aziendali che hanno chiesto ai loro collaboratori di chiedersi come impatterà sulle loro attività l’AI.
Comunque saranno sempre di più le persone al centro dell’attività. Prime fra tutte le persone a contatto con i clienti, ma non meno importanti nel garantire il servizio sono le persone non ad alto contatto, ma a supporto dell’evasione dell’ordine: dal magazziniere agli addetti dell’area amministrativa, che seguono l’ordine una volta evaso o bloccano la disponibilità della merce a magazzino per il mancato arrivo di qualche documento accompagnatorio. Tutte queste implicazioni richiedono in chi eroga il servizio: a) capacità di ascolto, per capire cosa vuole veramente il cliente, b) capacità di relazionarsi con il cliente; c) rapidità e puntualità di evasione dell’ordine. Ma a queste capacità si è aggiunta la necessaria trasmissione di informazioni sul prodotto e sul servizio; si pensi ad esempio alla tracciabilità dell’ordine che Amazon o eBay trasmettono via mail al cliente e sono comunque in grado di garantire anche a richiesta del cliente.
Persone con queste sensibilità-capacità non si trovano facilmente nel mercato del lavoro. In proposito per fortuna, consentitemi di ribadirlo, c’è la formazione. Questa dovrà essere prioritariamente sui contenuti tecnici del prodotto, ad esempio la sua installazione e il suo funzionamento e in secondo luogo sui contenuti manageriali del ruolo che una persona ricopre. Il problema è portare le persone ad acquisire quelle conoscenze che consentano loro il salto quantico: dal far bene le cose, al fare le cose giuste.
La formazione lo dico, anche se sono di parte, ha tre implicazioni formidabili per l’azienda centrata sulle persone:
1. Aumenta la motivazione
2. Sviluppa il senso di appartenenza ad una squadra (è come gli allenamenti nell’ambito sportivo)
3. Aumenta il livello delle conoscenze che le persone sentono di possedere, è un momento di crescita professionale, di learning individuale che si può trasferire a tutta l’azienda (facilita l’apprendimento).
A differenza di quanto qualche imprenditore pensi (il pensiero perverso è: le persone che spendo per formare poi se ne vanno) abbiamo constatato anche come risultato di molte ricerche che “persona formata, persona motivata” e persona fidelizzata. Quelli che se ne vanno sono solitamente coloro che si sentono “sottovalutati” dati i loro potenziali: poche responsabilità e magari anche pagati poco rispetto alle quotazioni di mercato per pari attività svolte. In proposito amo sempre ricordare che oltre alla Olivetti di Adriano Olivetti, in Italia c’era la Pirelli di Alberto e poi Leopoldo Pirelli. Un’impresa anche quest’ultima dalla quale la gente difficilmente se ne andava e non perché gli stipendi erano alti. Per tanti anni direttore del personale è stato Gavino Manca e c’erano percorsi formativi.
Certo, la formazione entra positivamente in azione quando la persona formata viene valorizzata. Le si danno gli spazi operativi per applicare quello che di nuovo questa persona ha acquisito. Se mando qualcuno ad un corso per prepararlo a fare controllo di gestione e poi gli faccio fare tutt’altro, questo oltre a rimanerci male potrebbe anche mettersi di traverso.
Inoltre la formazione può essere addirittura considerata una forma di premio/incentivo per i propri collaboratori. Per l’imprenditore è un’ottima occasione per mettere in discussione alcune certezze che oggi non possono più essere tali; ne sono un esempio l’aumento del fatturato, il vezzo di pagare poco il personale per risparmiare (può forse andar bene solo se questo non è qualificato), l’insistere con strategie del tipo “di tutto di più”, che non prevedano una selezione dei fornitori.
Per come si svolge oggi la formazione in aula (quella in presenza e non quella on line), soprattutto quella manageriale, si ricorre molto al lavoro in team; quest’esperienza rappresenta in alcuni casi una delle prime occasioni per lavorare con gli altri e arrivare a discutere e poi decidere con gli altri. Solo così si capisce quanto sia difficile arrivare a decisioni condivise.
Da ultimo tranne quelli che per vocazione vogliono far carriera secondo lo schema militare (da caporale a generale), gli altri in azienda sperano solo di guadagnare “bene” e di poter crescere sul piano professionale facendo un lavoro interessante. Questo è incredibilmente vero in molte imprese familiari nelle quali alcuni percorsi di carriera sono preclusi. Ma non è precluso il fatto di poter imparare, di fare learning e di trovare spazi nei quali applicare quanto è stato appreso. Insomma, come qualche studioso dell’Mit di Boston sostiene: la formazione allunga la vita “utile” delle persone e delle imprese nelle quali lavorano persone competenti.
A costo di sembrare “stucchevole” per il numero di volte in cui l’ho già detto, è venuto il momento di fare massicci investimenti nel “personale di bordo”, l’equipaggio con il quale affrontare quest’ambiente con tutte le sue incertezze, ma anche le sue opportunità. Devono aumentare le competenze delle persone poiché i frequenti cambiamenti lo richiedono. Con questi investimenti si possono aumentare le probabilità di riuscire a «fare le cose giuste», infatti non basta più fare le cose (anni ’60) e fare le cose bene (la qualità negli anni ’80), oggi è fondamentale fare le poche cose giuste in modo straordinario. Tra il dire e il fare ho sempre ricordato c’è il “saper cosa fare”. Su queste cose indispensabili, fondamentali per il successo della vostra azienda nel futuro dovete avere il coraggio di investire direttamente o attraverso i gruppi di acquisto, i consorzi o attraverso Angaisa. Riuscirete così a scatenare le economie di scopo, riduzione dei costi che si dovrebbero sostenere in impresa, se si decidesse di fare da soli le cose necessarie per raggiungere uno scopo.
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