La già annunciata pubblicazione anche in Italia, ad opera di A. Guerini, dell’”Impresa Saggia” e la sua rilettura ci spingono a qualche ulteriore riflessione (vedi post già pubblicato sul nostro blog). Noi siamo abituati a pensare alla saggezza con riferimento alle persone, le quali a volte sono tacciate di questa caratterizzazione in età senile: sono quelli che a me piace definire i “grandi vecchi”.
Se si cerca sulla Treccani la definizione di saggio si troverà: “Riferito a persona dotata di saggezza, quella che ha e rivela, nel comportamento, nel giudicare e nell’operare, oculato discernimento, moderazione, equilibrio intellettuale e spirituale, e una conoscenza delle cose acquisita soprattutto con la riflessione e l’esperienza”.
Di saggezza si è sempre filosofeggiato: dai greci ai più recenti contributi del filosofo contemporaneo Zygmunt Bauman, che in proposito scriveva: “A differenza della conoscenza, la saggezza non invecchia” ed è anzi pronta a percepire il passaggio da lui suggerito: da un mondo “solido” a un mondo “liquido” con i profondi cambiamenti che già stanno caratterizzando l’ambiente esterno. Il digitale fa perdere “fisicità” alle cose per portare verso una loro manifestazione virtuale. Ma tutto questo pensato con riferimento alle persone non basta. Il libro di Nonaka e Takeuchi ci stupisce: anche le imprese possono diventare sagge e questo potrebbe divenire un fattore evolutivo particolarmente positivo. Così, mentre per le persone essere sagge non rappresenta un passaporto per la “longevità”, per le “imprese sagge”, finché rimangono tali, sembrerebbe essere l’elisir di lunga vita. Questa caratteristica non era ancora tra quelle indicate nella letteratura dedicata alle “imprese longeve” (*). Ma se ne leggevano i prodromi quando venivano indicate come tratti fondamentali di tali imprese:
si leggeva in Built to Last: “Le imprese visionarie mostrano una forte propensione al cambiamento, che permette loro di mutare e di adattarsi senza compromettere i valori aziendali” (Built to Last: Successful Habits of Visionary Companies”, 1994, pag. 9) e la formula magica per sopravvivere in un mondo in cambiamento è stata la reattività e l’abilità dei propri manager nella gestione del cambiamento stesso. In particolare, Arie de Geus, fra l’altro membro del prestigioso Centre for Organizational Learning dell’Mit, definisce come caratteristiche qualificanti di una Living Companies (Harvard Business School Press, Boston 1997):
1. Sensibilità nei confronti dei cambiamenti ambientali con una precisa capacità di percepire con anticipo l’eventuale contenuto strutturale dei cambiamenti;
2. Coesione ed identità delle persone facenti parte dell’organizzazione;
3. Capacità di decentrare con relazioni costruttive con altre entità, all’interno, ma anche all’esterno dell’impresa;
4. Una Finanza conservativa, si cresce cercando di evitare squilibri nella struttura finanziaria, riconoscendo un ruolo centrale all’autofinanziamento.
Così, la “saggezza”, a Nonaka e Takeuchi appare come la capacità di creare innovazione continua. È riuscire a “scaricare a terra” le competenze accumulate in azienda, farle diventare pratica nei prodotti/servizi offerti e nei processi gestionali attuati per offrirli. Se ne discuterà anche in un incontro online martedì 19 ottobre ore 17:00, su Zoom con le seguenti credenziali:
Link incontro: https://us02web.zoom.us/j/83856609296?pwd=S09NenFKQXdqZjhtcCs2c3MwV1dBQT09#success
ID riunione: 83856609296- Passcode: 787945
Il titolo dell’incontro è: L’impresa saggia: decisioni buone per le imprese, buone per la società?
Se nell’approccio proposto l’innovazione continua è la colonna portante del successo di un’impresa nel tempo, è necessario ricordare che la premessa per realizzarla è “riuscire a sviluppare una saggezza pratica, plasmata dai valori, dall’etica e dalla morale”. Pertanto, per quelle imprese che, come le persone, aspirino a diventare sagge il libro di Nonaka e Takeuchi suggerisce 6 pratiche. Nella loro ricerca, le 6 pratiche che si sono rivelate in grado di far evolvere un’azienda verso lo stadio superiore a quello della “Knowledge companies”, quello della “saggezza” (“wise company”) sono:
1. Saper individuare e valutare ciò che è “bene per l’azienda” e non solo per gli azionisti,
2. Cogliere l’essenza dei fenomeni, riuscendo a cogliere con immediatezza la vera natura delle persone e degli eventi;
3. Creare delle “ba”, questo termine giapponese significa creare dei luoghi, degli spazi in azienda dove si impara, dei campi nei quali si condividono conoscenze;
4. Comunicare l’essenza del proprio pensiero, con chiarezza e ricorrendo a metafore, storie e immaginazione storica (cercare di valorizzare la cultura aziendale, impedendo che si fossilizzi);
5. Esercitare il potere non per comandare ma per spronare all’azione;
6. Sviluppare la saggezza anche degli altri, attraverso affiancamento, apprendistato e mentoring.
A fronte di queste considerazioni desidero concludere questo post con una mia riflessione: cercate di far “venire fuori il saggio che c’è in voi” e come primo atto condividete con i vostri collaboratori più giovani le vostre conoscenze e le vostre esperienze. La “saggezza” inizierà a diffondersi nelle organizzazioni nelle quali operate. Non aspettate la “maturità” per farlo, poiché potrebbe diventare troppo tardi.
*Da avere in biblioteca: Sulle imprese longeve si segnalano tre lavori
COLLINS J. – PORRAS J., Built To Last Successful Habits of Visionary Companies, Century London, 1994
DE GEUS A., The Living Company. Habit for survival in a turbulent business environment, Harvard Business School Press, 1997; trad. It. A cura di V. D’Amato, con il titolo L’azienda del futuro, F Angeli, 1999
BUTERA F., La media impresa costruita per durare. F.Angeli, 1998
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