La filosofia e il pensiero filosofico ogni tanto riemergono con “parole di saggezza” ed è opportuno cercare di cogliere quest’attimo fuggente. Negli ultimi anni mi sono dedicato molto alla lettura dei lavori di Zygmunt Bauman. Ho riscoperto “L’uomo a una dimensione” di Marcuse ed infine poche settimane fa mi è capitato tra le mani: “Executive philosophy” di Daniele Mattia (Guerini Next, Milano, dicembre 2022). Ci vogliono questi libri per riportare la filosofia negli spazi della quotidianità. Il libro per certi aspetti è una lettura entusiasmante, ma per altri anche impegnativa (il libro si propone infatti con le sue 440 pagine).
L’importanza della filosofia nella nostra vita non può essere solo il ricordo scolastico che ne possiamo avere. C’è una “forma mentis” che può farci cogliere quanto alcune nostre convinzioni siano confutabili e quanto del nostro modo di agire nella società e nell’ambito delle sue espressioni, come lo sono le organizzazioni, possa essere migliorato da questa disciplina. Così, la pubblicazione di questo libro mi ha fatto tornare in mente l’idea che portò Angelo Guerini a dare spazio alla collana Network: la frontiera delle riflessioni umane si trova spesso nei punti di collegamento ed incrocio tra discipline diverse. Così diverse dal conoscersi poco reciprocamente e dal parlare linguaggi/gerghi differenti. Chi mi conosce sa che questi sono i libri che mi piacciano. Si sottopongono a critica i modelli manageriali classici come quello nato con Henry Fayol e poi affermatosi con molti altri studiosi, come Harold Koontz e Cyril O’Donnell. Per attuare e rendere credibile questa critica si ricorre, oltre a studiosi di management già di per sé critici come Mintzberg e Julian Birkinshaw (London Business School), anche al filosofeggiare di importanti studiosi che nei secoli ci hanno lasciato grandi occasioni per capire cosa significhi pensare: da Platone ed Aristotele in poi.
Si ritrovano così, secondo Mattia, interessanti “pietre di inciampo” in molti loro contributi. Anche nel costruire le teorie di management bisogna saper riconoscere queste “pietre” e vagliarle nella loro portata al fine di non cadere rovinosamente in convinzioni pericolosamente sbagliate. Le teorie, infatti, possono essere errate anche se validate da temporanee prove dei fatti. Mi sia giusto consentito di ricordare il filone “In search of excellence” che dal 1982 furoreggiò per alcuni anni nelle teorie di management, per poi rivelarsi una ricerca spesso sterile, fine a sé stessa o peggio. Basti ricordare che all’epoca alcune delle imprese, citate nel volume che presentava al mondo quest’approccio, nonostante la loro “eccellenza”, sono poi scivolate verso risultati modesti (tra queste, per ricordare un nome altisonante, IBM).
Lo stesso studioso che si è fatto portatore nel mondo della teoria Tom Peters, allora giovane e brillante professionista della McKinsey, si è poi allontanato da determinate affermazioni categoriche: se le 7 variabili strategiche-organizzative del modello a diamante (proposto da McKinsey) fossero perfettamente coerenti, i risultati aziendali risulterebbero “straordinari”. Ma la coerenza fra le “7 S” non fu sufficiente a garantire l’eccellenza.
Così nel 1985 Tom Peters, questa volta accompagnato da Nancy Austin (e non da R. Waterman), sente l’esigenza di pubblicare “Una Passione per l’eccellenza”. Un seguito caratterizzato da un ulteriore successo al “botteghino”. Tuttavia, le lezioni impartite attraverso i libri ricordati, dalle aziende meglio gestite al mondo (almeno secondo la Ricerca condotta), non furono sufficienti. Le teorie di management sembravano aver toccato l’apogeo, ma non era così. Che strano: ben venga la filosofia per riportarci stranamente su questa terra.
Pertanto lo stesso Peters, dopo soli 2 anni (1987) dalle sue pubblicazioni, smentisce molto di quanto affermato nei ricordati lavori pubblicando “Thriving on chaos”, dove presenta le sue 5 prescrizioni per un mondo alla rovescia:
-creare una capacità di risposta assoluta al cliente,
-perseguire l’innovazione rapida,
-raggiungere la flessibilità dando potere ai dipendenti
-imparare ad amare il cambiamento,
-costruire “sistemi di direzione” adeguati ad un mondo alla rovescia.
A suo modo fu un libro di executive philosophy.
Se si prosegue con le riflessioni in questa direzione emergono due aspetti:
a. c’è ancora molto da fare sul piano delle “filosofie” applicate al management; ricordo uno studioso che in proposito è da studiare: Gareth Morgan con il suo Images. Le metafore dell’organizzazione (F. Angeli, Milano 1988)
b. si può pensare di introdurre organizzativamente una figura come l’”Executive Philosopher” e chiedergli, come viene suggerito nella Terza e conclusiva parte del volume, di avere delle prassi e delle situazioni in cui, come manager, ma anche come organizzazioni, si pensi; i. particolare si abbia il tempo per pensare, che è quello che spesso manca.
La filosofia non è solo un problema di conoscenze e competenze, ma di atteggiamento mentale.
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