Edgar Morin nel suo “Il metodo. Ordine, disordine e organizzazione” (Feltrinelli, 1989) ammoniva: in presenza di complessità è imprescindibile “riapprendere ad apprendere” e per farlo era opportuno scoprire la nostra “Hidden valley”, la nostra valle nascosta dove tutte le acque confluiscono e possono essere accolte.

Da un’altra scuola di pensiero sui processi di apprendimento esperienziale, con Kolb. E subito dopo quest’idea veniva rinforzata da Chris Argyris che sottolineava l’esistenza di un secondo loop legato non all’esperienza dei singoli, ma all’analisi dell’ambiente esterno (Double loop learning in Organization, Harvard Business Review, 1977).

Contemporaneamente si stava sviluppando la scuola dell’Mit (tra gli studiosi sono da ricordare i lavori di Peter Senge dedicati alla quinta disciplina), con il metodo dell’analisi dinamica dei sistemi, che attraverso l’individuazione delle relazioni di causa/effetto aiutava ad interpretare le relazioni tra le molteplici variabili di impresa: precisando che alcune erano variabili risultato e altre variabili determinanti (poi chiamate da qualcuno drivers).

In questo ricco tessuto teorico il “Design thinking” (Pensiero progettuale) di Tim Brown e Dave Kelly ha trovato molti seguaci e si è affermato come possibile approccio in tutte quelle situazioni manageriali in cui è opportuno effettuare delle sperimentazioni cicliche prima di ritenere che quanto pensato sia valido. Proprio come succede a chi fa progettazione.
Sempre in tema di apprendimento, Otto Scharmer lancia una sfida interessante: ciò che ci distingue come esseri umani è che possiamo connetterci con il futuro. Per questo propone, la sua “Teoria U. I fondamentali” (A. Guerini, Milano 2018), In base alla teoria proposta tre aspetti sono fondamentali per far sì che “individui, gruppi e organizzazioni possano percepire e attualizzare il loro miglior potenziale futuro”:
1. Comprendere, come fa un buon agricoltore, la rilevanza del “campo” in cui si semina; lo stato interiore di chi desidera imparare; il raccolto infatti non dipende solo dalle sementi utilizzate e dalle modalità della loro semina; fuor di metafora i seminatori siamo noi e il campo è il “campo sociale”;
2. La capacità di ascolto come momento fondante (“modificare il modo di ascoltare cambia la vita; ci sono quattro modi di ascoltare: a) download, ascoltare per riaffermare ciò che sappiamo; b) ascolto fattuale, lasciamo che i fatti e le informazioni ci parlino e modifichino il nostro modo di vedere i fenomeni; c) ascolto empatico, tipico di chi riesce ad aprire la mente e il cuore per entrare in sintonia con la prospettiva di un altro; d) ascolto generativo si ascolta dal campo perché si percepisce che sta nascendo qualcosa di nuovo;
3. Dopo la fase più bassa della U, dopo aver ascoltato e osservato per “ritirarsi e riflettere, per permettere al sapere interiore di emergere” “presencing” (attualizzare il futuro percepito): si tratta di mettere in atto quanto elaborato, creando dei prototipi, delle proposte non definitive che andranno “testate” ma che sono il frutto di un collegamento tra testa, cuore e mani.

Tutto ciò nella convinzione che si può compiere il viaggio proposto da Scharmer con il suo contributo: “un viaggio attraverso l’abisso -il punto più basso della U- dall’attuale realtà ‘guidata’ dal passato ad un futuro emergente, ispirato da quello che è il nostro potenziale più alto”, che dobbiamo cercare di liberare.

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