Mentre l’attività di controllo è un’attività naturale, quella di planning lo è molto meno*. Su questi temi mi sono convinto avendo avuto la fortuna di avere come guida quella di Renato Tagiuri. Questo studioso italiano, attraverso la sua attività di ricerca svolta presso l’Harvard Business School, dove ha lavorato dal secondo dopoguerra in poi, ha messo alcuni tasselli in un puzzle non facile da comporre, come sempre succede quando si tratti di cercare di capire e di interpretare i possibili comportamenti delle persone.
Nel suo periodo bostoniano, iniziato immediatamente dopo gli studi in università canadesi, dove si era rifugiato lasciando tra le due guerre la sua Verona, Tagiuri ha individuato interessanti spunti su aspetti psico-comportamentali che riprenderemo nei prossimi mesi nella nostra nuova Rubrica Liberi di pensare. Questo vale anche per i colleghi con i quali ha avuto modo di confrontarsi. Sono gli studiosi di psicologia di Stanford, di Harvard e dell’MIT: Harold Leavitt, Edgar Schein, Chris Argyris. Questi autori sono stati per me un ottimo esempio poiché hanno evidenziato come i team possano diventare luoghi di contaminazioni intellettuali e di crescita personale.
È in questo contesto che per Tagiuri è nata, in uno dei suoi, spesso desiderati, raid italiani, l’idea di pubblicare un articolo dal titolo: La pianificazione: obiezioni e contro-argomentazioni (Sviluppo e Organizzazione, Gen – Feb, 1980). L’argomento è tuttora di grande attualità. La pianificazione nelle imprese incontra sempre alcune resistenze, non è nella cultura del management italiano.Nell’articolo vengono indicate alcune di queste resistenze e come queste possano essere contro-argomentate. Ne recuperiamo 7, quelle che ci sembrano, tra le indicate, le più ostacolanti soprattutto nelle imprese italiane.
A1. Un primo aspetto è la caratteristica della pianificazione di essere un lavoro impegnativo, di immaginazione, di intelligenza diversi da quelli richiesti per analizzare dati passati o presenti e per risolvere i problemi correnti.
A2. A questo si può contrapporre quanto possa risultare impegnativo e difficile recuperare una situazione in cui sarebbe stato opportuno pianificare per anticipare, per non dissipare energie su obiettivi secondari, con una dispersione di leadership, risorse ed efficacia.
B1. Al corporate planning (pianificazione aziendale) si sono attribuiti contenuti spesso diversi e si sono utilizzati anche linguaggi diversi. Ciò ha portato a difficoltà di comunicazione, di diffusione e di accumulo di esperienze. Ai miei studenti in Liuc-Università Cattaneo nel corso di Pianificazione aziendale muovo dal long range planning (anni ’50), passo attraverso lo strategic planning (seconda metà degli anni ‘60), transito, ampliando i contenuti, nello strategic management per approdare al Discovery driven plan e soffermandomi, per il momento, sulle più recenti impostazioni di pianificazione: il contingency plan e la Balanced Scorecard.
B2. Questi frequenti cambiamenti nelle proposte e negli approcci alla pianificazione è espressione di una esigenza concreta di svolgere quest’attività, per cui spesso arrivo ad affermare, cosciente di possibili ulteriori miglioramenti: pianificare si deve, meglio si può. Fra i vari approcci proposti non c’è quello migliore in assoluto, si tratta di scegliere quello che in un determinato contesto è più rispondente. Ad esempio il termine Business plan è oggi utilizzato in vari contesti, ma è stato pensato per pianificare le attività di una start-up.
C1. Pianificare non sembra un problema urgente quanto altri. Si può rinviare.
C2. In realtà talvolta è poco rinviabile, molto speso diventa tardi farlo: si pensi a determinate competenze necessarie per dar seguito, ad esempio, ad una strategia di digitalizzazione.
D1. La pianificazione richiede risorse (tempo, energie e capitali) e non tutte le imprese sono in grado o hanno deciso di distogliere risorse alle attività correnti.
D2. L’orientamento dai vertici in giù deve essere verso il lungo termine e non l’anno o i mesi che verranno.
E1 La pianificazione è come il budget (piano operativo) è l’assunzione di impegni, per cui molto spesso la pianificazione è come il bastone dell’hockey: i primi due anni l’andamento è piatto, al terzo cresce in maniera sensibile.
E2. La pianificazione non è un vincolo ma ha il vantaggio di spingere a pensare prima cosa fare domani.
F1 L’esitazione a pianificare può derivare dalla riluttanza a comunicare agli altri le proprie strategie anche per il rischio di fughe di notizie verso la concorrenza e il mercato.
F2 È proprio questa mancata comunicazione che rende difficile condividere la strategia e dare alla stessa un’efficace attuazione; d’altra parte la concorrenza può in ogni caso attivare uno “spionaggio industriale”, nel tentativo di carpire informazioni sensibili.
G1 Perché pensare a come fronteggiare il futuro di cui sappiamo poco, quando siamo totalmente occupati a fronteggiare i problemi presenti?
G2 Pianificare serve a preparare il futuro pensando sistematicamente al futuro, per evitare comportamenti contraddittori e impostare per tempo le azioni che richiedono tempo per essere portate efficacemente a termine. Basti pensare ad alcuni costi in passato considerati “discrezionali” ed oggi considerati stratex (strategic expenses): costi della comunicazione, dell’education per il personale e i costi per l’innovazione. Questi tre sono drivers i cui risultati si vedono nel medio-lungo termine e non quando si decide di spendere.
*Per un approfondimento del controllo come attività naturale, si può consultare A. Bubbio – R. Tagiuri, Controllo di gestione: un’esigenza naturale (Liuc Paper, 2002)
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