Se, come si è avuto modo di evidenziare, svolgere un’attività di controllo è naturale (Bubbio-Tagiuri, 2000), è anche vero che ci sono diversi possibili modi per esercitare tale controllo. Tra i primi studiosi a sollevare sulla parola controllo un problema terminologico è da annoverare Peter Drucker che per le teorie di management sarebbe poi diventato un mito. Il suo contributo, dal titolo emblematico Controls, Control & Management, venne inserito in una raccolta di saggi curata dello Stanford Institute: Managements Controls: New Direction in Basic Research. La raccolta venne pubblicata nel 1964 e quasi in risposta alla speranza, formulata dai curatori, che quel lavoro desse luogo ai necessari sviluppi, venne seguita l’anno successivo da un contributo di Robert Anthony (1965). Il libro, Planning and Control Systems, rappresentò per la letteratura di management, una pietra miliare, che ha condizionato tutti i successivi sviluppi.

Le diverse possibili attività cui ci si riferisce quando si utilizza il termine controllo sono quelle che hanno determinato alcuni errori applicativi proprio per quest’attività. C’è un controllo, fra l’altro quello a cui spesso si pensa quando si utilizza questo termine, la verifica ispettiva, finalizzata quasi esclusivamente ad esprimere una valutazione sulle prestazioni delle persone. Quest’attività è quella che coincide con il controllo qualità, dove si verifica se l’oggetto del controllo, ad una determinata data, è conforme o meno a quanto desiderato. È quella che William Newman ha definito nel suo lavoro Constructive Control, come yes-no control. È l’attività che si svolge in dogana o quando si svolge un’indagine sul rispetto o meno di determinate regole.

Una seconda tipologia di controllo è quella che si svolge quando si verificano i risultati conseguiti e le cause di questi risultati, per essere a supporto delle persone ed aiutarle ad individuare le azioni per riportare l’eventuale risultato negativo in linea con quello desiderato. Questa coincide con l’attività di diagnostica che mira ad apprezzare se i risultati effettivi siano entro un determinato range e per decidere quali eventuali azioni sono necessarie per mantenere, aumentare o diminuire il valore del risultato osservato.

Costituiscono esempi di queste tipologie di controllo, oltre ai check-up medici, gli esami scolastici dove oltre al passa non passa, dovrebbe esserci una valutazione sul grado di preparazione dei candidati, sulle loro eventuali carenze di preparazione, con l’individuazione delle azioni per recuperare. Questa attività è quella che coincide con quella che William Newman definisce post-action control. Quello che producono queste attività è un effetto di ritorno informativo su ciò che viene controllato: il, c.d. effetto di feedback. Quello che ha reso per tanto tempo più che sufficiente questa definizione è che da questo controllo post-azione si ricevevano due segnali positivi: uno sul piano dell’apprendimento apprendimento, l’altro per lo stimolo a ricercare possibili interventi correttivi.

Così questa stessa attività, quando centrata sulle performance di un individuo, mette in luce se la persona, che ha agito per ottenere il risultato effettivo osservato, è stata brava o meno; grazie a questo tipo di controllo si valuta criticamente l’operato delle persone, si esprime un giudizio di merito. Ed è qui che si può valorizzare o compromettere l’apprezzamento dell’utilità di questo controllo da parte di chi lo subisce. È certamente utile questa valutazione, ma per essere a supporto delle persone, per essere costruttiva, non può e non deve essere penalizzante; deve caso mai aiutare il soggetto a migliorare le proprie performance anche avviandolo a percorsi formativi o a momenti di affiancamento sul piano lavorativo.

Ma si può fare ancora di più. Con un approccio che William Newman chiama Steering Control e Harold Koontz feed-forward si può mettere a disposizione, nella fase di confronto risultato effettivo-risultato desiderato, una proiezione sulla direzione di marcia che si sta perseguendo. È sufficiente elaborare una proiezione del tipo “dove si andrà a finire (con quali risultati finali) se si continuasse nella stessa direzione di marcia?”. Ci si interroga sui risultati prospettici, con una proiezione pura e semplice (anche lineare) al fine di aiutare il manager a cogliere la gravità dello scostamento realizzato alla data, al momento del “controllo”.

Si è dunque capito, come si può cogliere da quanto evidenziato, che il termine controllo nel tempo è stato sempre meglio chiarito nel significato e nei contenuti. Si è trasformato in qualcosa di sempre più “costruttivo”. Si può anche praticare solo il controllo ispettivo, ma questo può spingere a comportamenti burocratici, al semplice rispetto della regola anche se fuorviante. D’altra parte il significato è ambiguo. Spesso quando si usa il termine controllo ci si riferisce all’attività di analisi dei risultati effettivi per capire chi è stato bravo e chi meno. È come il controllo ispettivo che si fa per verificare il rispetto delle leggi ed anche quello che si fa a scuola quando si dà unicamente un voto senza dare indicazioni per lo studio. Ma se si pratica solo questo controllo in un ambiente turbolento e complesso questo sarà sempre meno utile. Anzi potrà avere effetti indesiderati e demotivanti.

Pertanto il controllo, che si svolge più volte nelle nostre giornate e non solo nei momenti lavorativi e che costituisce un’attività naturale, non è per niente semplice. Se si colgono le sottolineature effettuate si può capire perché si deve scegliere quale controllo “praticare”. Vi è un controllo che noi svolgiamo sull’operato e sui risultati degli altri individui (si utilizza tu e voi), c’è un controllo più centrato su sé stessi, un autocontrollo (io) e un controllo sui risultati che si stanno conseguendo insieme ad altri (noi). Così, ad esempio, la Balanced Scorecard induce a praticare un controllo con l’ottica del “noi”: cosa dobbiamo fare per raggiungere i target desiderati, con riferimento alle diverse variabili individuate per dare attuazione alla strategia. Per contro il Budget, se utilizzato male, può spingere la pratica del controllo ispettivo, diventa una mera verifica dell’operato dei collaboratori. Si ritiene che questa sia stata nelle prassi aziendali una delle cause di un’inefficacia dello strumento. Il Budget non serve per “azzeccare” i numeri, ma per indirizzare ed aiutare le persone e le aziende a raggiungere i risultati desiderati.

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