Humanocracy è un contributo “strano”. Dapprima appare come un’idea rivoluzionaria, ma poi in realtà si scopre essere il frutto di un’evoluzione. Derek Hamel e Michele Zanini riprendono oltre ai contributi della così detta Scuola delle Relazioni Umane, anche alcuni dei più recenti contributi come quelli di un collega della London Business School: Julian Birkinshaw. Ma anche la terza edizione (2015) di Managing The Unexpected di Karl Weick – K. Sutcliffe, con la proposta del modello High Reliability Organization (HRO) caratterizzato dai suoi 5 principi (Figura 1) da applicare per creare organizzazioni capaci di fronteggiare con efficacia l’inaspettato evento ambientale. Tra questi principi vi è il “Commitment to Resilience” che richiede uno specifico Mind-set, in grado di mettere in relazione “adaptation and adattability” (book, pag.107).

Figura 1 – Il funzionamento di un’Organizzazione ad Alta Affidabilità

E sempre lungo questo percorso evolutivo è da ricordare il lavoro di Frederic Laloux A Guide to creating Organizations Inspired by the Next stage of Human Consciousness (2014, Ed. It. Guerini 2016)) e Holacracy di Brian Robertson (2015). Il primo per l’originale proposta di un’organizzazione Teal, capace grazie al nuovo ruolo riconosciuto alle persone di “auto-gestione” e di essere chiamate anche ad “auto-organizzarsi”. Il secondo lavoro Holacracy è da evidenziare per i tanti suggerimenti su come cambiare i processi gestionali anche attraverso un coinvolgimento delle persone: ad esempio nell’ambito del processo di formulazione ed attuazione della strategia, è meglio predire che prevedere ed è opportuno che il momento di pianificazione e esecuzione delle azioni sia frutto di momenti collegiali. Per chi desiderasse approfondire questo approccio, si segnalano due video su youtube, il primo di 18 minuti, il secondo di 90 minuti.

Prima di questa macro “ondata” che ha richiamato il ruolo centrale delle persone, molte soluzioni organizzative proposte, dimenticata la Scuola delle Risorse Umane (periodo di maggior influenza 1960-1970), erano centrate sul binomio “comando” “controllo”, mirato a verificare che il comportamento delle persone sia coerente con i desiderati e assegnati obiettivi aziendali. Questa era la soluzione ideata poiché si temeva che le persone, se non fossero state controllate, avrebbero potuto comportarsi in modo non congruente. Per fortuna, peraltro, le intenzioni del controllo non erano solo quelle di controllo ispettivo. Dando un coordinato sistema di obiettivi si sarebbe comunque aumentata la chiarezza del percorso che l’impresa avrebbe dovuto effettuare. Con Humanocracy l’ipotesi di base cambia: il controllo si fa, ma per apprezzare il proprio comportamento. Diventa autocontrollo (selfcontrol), necessario anche e solo perché il controllo è un’attività naturale, che ogni persona sente la necessità di svolgere, per capire come, a livello personale, ci si stia “muovendo” rispetto alle proprie attese (Bubbio-Tagiuri, Controllo di Gestione: un’esigenza naturale in Amministrazione e Finanza n. 3 -2008).

L’ipotesi di base cambia poiché cambiano gli atteggiamenti e gli spazi concessi alle persone. Se si “condivide il viaggio da fare insieme”, sia questo espresso da una strategia, da un piano o da un budget o da pochi obiettivi comuni aziendali, la natura delle persone responsabilizzate e responsabili dovrebbe portare tutti ad andare nella direzione prescelta. Ma non è stata una rivoluzione. Anzi i più attenti stanno condividendo la riflessione dell’ultimo lavoro di Henry Mintzberg (Understanding Organizations…Finally – 2023): “stiamo finalmente capendo come far funzionare le nostre organizzazioni”.

Così, che questa tendenza alla democratizzazione delle strutture e al loro appiattimento sarebbe diventata prassi diffusa, era già intuibile dal contributo di alcuni studiosi che, come nel caso della Balanced Scorecard, richiamavano la disponibilità delle persone a condividere strategie ed obiettivi aziendali. Questa tendenza era a tal punto chiara che non si riteneva più necessario avere un sistema di incentivi incentrati solo sulla valutazione delle performance dei singoli ma sempre più orientato ad incentivare le performance aziendali e dei team. Saranno casomai le retribuzioni dei singoli, spinti a liberare e praticare la loro imprenditorialità, a tener conto dei risultati conseguiti. Le persone al migliorare dei risultati di specifiche attività seguite direttamente (ad esempio specifici progetti aziendali) potranno veder aumentare le loro remunerazioni, poiché li avranno conseguiti grazie alle loro capacità imprenditoriali. La meritocrazia diventa la discriminante; ciò che determina le differenze retributive tra le persone. Più si riesce ad applicare questo principio, in modo trasparente, più le persone assumeranno comportamenti coerenti e si faranno portatori di richieste anche sul piano delle conoscenze da acquisire.

È nel sottotitolo del libro che è racchiusa, in modo sintetico, la visione dei due autori: Creating Organizations as Amazing as People Inside Them (Harvard Busienss Review Press, 2020) (Creare organizzazioni straordinarie come le persone che ci lavorano, Ed It. Ayros Milano 2021). I 7 principi fondamentale di un’organizzazione umano-centrica sono:

-Imprenditorialità diffusa,

-Costante attenzione all’evoluzione dei mercati,

-Applicazione sistematica del principio della meritocrazia,

-Creazione di una Comunità,

-Apertura a tutti gli stimoli, soprattutto quelli esterni (open)

-La sperimentazione diventa continua,

-Ci sia accettazione dei paradossi; è da tempo, come ci ricordava già Charles Handy (L’epoca del paradosso, Edizioni Olivares, Mi 1994) che non si vive più in un mondo dove era “o….o…”(“o questo o quello”), ma in un mondo in cui vale l’ “e…e…”, “e questo e quello”

Chi desiderasse capire meglio Humanocracy, quello che sta diventando un movimento a livello internazionale, può visitare il sito che i due studiosi hanno creato e dove si ospitano i pareri di colleghi e di persone che operano nelle organizzazioni per discutere e crescere dalle esperienze e dalle riflessioni di tutti.

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