Mentre Simon negli anni ’60, nel suo ormai classico The New Science of Decision Making, si soffermava sulla razionalità limitata del processo decisionale, successivamente precisò il ruolo dell’intuito e delle emozioni nel condizionare le decisioni stesse. In un suo articolo del 1987 (Making Management decision: the role of intuition and emotion, The Academy of Management Executive, February) l’incipit era: “L’attività del manager include il compito di elaborare decisioni (o contribuire ad elaborarle) comunicarle ad altri e controllare il modo in cui vengono attuate. Per prendere decisioni efficaci le persone devono avere una conoscenza approfondita del settore industriale e dell’ambiente sociale in cui operano oltre che del processo decisionale in sé”.

I progressi che sono stati conseguiti non hanno però interessato tutte le tipologie di decisioni. Per le decisioni strutturate di tipo deliberativo e a forte contenuto quantitativo, secondo Simon è stato fatto molto. Ma molte decisioni sono poco strutturate, sono di tipo deliberativo e qualitativo, si basano anche sull’intuito o nascono da un’interazione interpersonale, che ha un forte contenuto emozionale. Ma la ricerca non si ferma. Negli anni successivi, molte attività di studio centrate sul processo decisionale si sono mosse dalle basi poste da Simon e sono andate a ricercare le possibili trappole che avrebbero potuto portare, nonostante tutto, a decisioni meno efficaci di quanto non si potesse desiderare.

Tra i lavori che hanno caratterizzato la letteratura ce ne sono alcuni che meritano di essere ricordati.
Una prima proposta venne nel 1989 da E. Russo e P.J. Schoemaker nel loro Decision Traps: The Ten Barriers to Brilliant Decision-Making and How to Overcome Them (Doubleday, New York 1989). Le 10 Trappole da loro individuate sono le seguenti

1) Immergersi – Quando si inizia a raccogliere informazioni e a raggiungere conclusioni senza prima dedicare qualche minuto a pensare al nocciolo del problema che si sta affrontando o a pensare a come riteniamo che dovrebbero essere prese decisioni come questa.

2) “Frame blindness” – Intenzione a risolvere il problema in modo sbagliato poiché ci si è creato un quadro mentale per la decisione, con poca riflessione, che fa trascurare le opzioni migliori o perdere di vista gli obiettivi importanti.

3) Mancanza di controllo del frame – Non riuscire a definire consapevolmente il problema in più di un modo o essere indebitamente influenzato da altri.

4) Eccesso di fiducia nel nostro giudizio – Mancata raccolta di informazioni fattuali chiave perché siamo troppo sicuri delle nostre ipotesi e opinioni.

5) Scorciatoie miopi – Fare affidamento in modo appropriato su “regole pratiche” come fidarsi implicitamente delle informazioni più facilmente disponibili o ancorare troppo a fatti convenienti.

6) ”Tiro dall’anca” (Shooting from the Hip) – Credere di poter tenere a mente tutte le informazioni che si raccolgono, e quindi “allargare” piuttosto che selezionare e poi seguire una procedura sistematica nella scelta finale.

7) Fallimento di gruppo – Partendo dal presupposto che con molte persone intelligenti coinvolte, le buone scelte non potranno che essere una conseguenza e quindi non si riesce a gestire il processo decisionale di gruppo.

8) Illudersi con il feedback – Non riuscire a interpretare le prove dei risultati passati per ciò che dicono veramente, o perché stiamo proteggendo il nostro ego o perché siamo ingannati dal senno di poi.

9) Non tenere traccia – Partendo dal presupposto che l’esperienza renderà automaticamente disponibili le sue lezioni, e quindi non mantenendo registrazioni sistematiche per tenere traccia dei risultati delle tue decisioni e non analizzando questi risultati in modi che rivelano le loro lezioni chiave.

10) Mancata verifica di come si svolge nel concreto in azienda il processo decisionale – Mancata creazione di un approccio organizzato per comprendere il processo decisionale adottato e quindi si rimane costantemente esposti a tutti gli errori indotti dalle trappole di cui sopra.

Il secondo avvertimento arriva da tre ricercatori (John S. Hammond, Ralph L. Keeney, professore all’Università della California del Sud, e Howard Raiffa, Professore emerito alla Harvard Business School) ed è stato lanciato prima nell’articolo su HBR settembre/ottobre 1998 (The Hidden Traps in Decision Making) e poi nel loro libro: Smart Choices: A Practical Guide to Making Better Decisions (trad. it. Decisioni, Sole 24 ore, Milano). I tre ricercatori hanno individuato otto trappole psicologiche che potrebbero influenzare il modo in cui si prendono le decisioni:

1. trappola dell’ancoraggio ci porta a dare un peso sproporzionato alle prime informazioni che riceviamo;

2. trappola dello “status quo” che ci spinge a mantenere la situazione attuale, anche quando esistono alternative migliori;

3. trappola dei costi irrecuperabili, costi fissi che vengono imputati in modo soggettivo (logiche del full costing) e che ci porta a perpetuare gli errori commessi in passato: l’alternativa si pensa sia troppo costosa;

4. trappola dell’evidenza confermativa che ci porta a cercare informazioni a supporto di una alternativa prediletta, già esistente, per poi scartare le informazioni penalizzanti;

5. il framing si verifica quando erriamo un problema, minando l’intero processo decisionale;

6. l’eccessiva fiducia ci fa sovrastimare l’accuratezza delle nostre previsioni;

7. la prudenza ci porta ad essere eccessivamente prudenti quando facciamo stime su eventi incerti;

8. la richiamabilità che ci porta a dare un peso indebito a eventi recenti e drammatici.

Il modo migliore per evitare tutte le trappole è essere consapevoli che esistono e possono agire anche a livello inconscio. Così i decision maker possono anche intraprendere dei semplici passi per proteggere sé stessi e le loro aziende dagli errori mentali indicati. Ma non è tutto. Nel 2022 sulla Sloan Management Review esce: The Cognitive Shortcut That Clouds Decision-Making di Jonas De keersmaecker, Katharina Schmid, Nadia Brashier, e Christian Unkelbach che sono a ricordarci quanto il tema, di sicura rilevanza con riferimento alle tematiche gestionali, nasconda ancora qualche insidia. È la scorciatoia cognitiva che, a loro avviso, offusca il processo decisionale. La semplice ripetizione di affermazioni false aumenta la loro credibilità, lasciando i decisori vulnerabili basando le decisioni su questa disinformazione. Le quattro strategie per prevenire simili situazioni, sempre a loro avviso sono:

1. evitare il pregiudizio del “punto cieco”, dove per definizione non si vede,

2. evitare “bolle” epistemiche, che portano ad una presa di posizione conoscitiva da parte del soggetto (per es. credere, sapere, pensare, ecc.) con posizioni del tipo “certo lo sapevo già”,

3. distinguere con attenzione quelli che sono i fatti, dagli interrogativi e dalle ipotesi,

4. spingere la verità, attraverso un’attenta verifica dei dati e delle fonti informative.

Il delicato processo di composizione di una decisione è articolato e cosparso di numerose insidie. Sin qui non si è ancora considerato un altro tema legato alle decisioni: la loro rischiosità. In determinate situazioni è una delle variabili fondamentali da valutare. Questo laddove i risultati conseguibili con la decisione hanno un grado di incertezza elevata: si pensi nelle perforazioni alla ricerca di giacimenti di gas. Insomma, per quanto sia stato approfondito, il processo decisorio riserva sempre qualche “sorpresa nascosta” e presenta molteplici angoli di lettura. Alla valutazione del rischio nella composizione di una decisione, dedicheremo uno specifico post.

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