Che la perfezione non sia di questo mondo non è scoperta recente. Mi ha confermato questa tesi Francesco Varanini con il suo ultimo contributo “Marchionne non è il migliore dei manager possibili” (Guerini Next, Milano ottobre 2022). In questo lavoro Marchionne, con il suo maglioncino blu, viene disegnato un manager molto attento al profitto e poco alle persone: un manager con uno stile più da “mercenario” che da “missionario”. D’altra parte arrivava da esperienze lavorative come esperto contabile e come Cfo nel Lawson Group (Alusuisse). Ma a salvarlo probabilmente è intervenuto il suo precedente percorso formativo in Canada, Paese in cui viveva: la sua laurea in Filosofia presso l’università di Toronto, abbinata con un MBA (Università di Windsor). Questa laurea si è rivelata per l’ennesima volta, nella mia esperienza di coordinatore in Business School di percorsi Master, una laurea che offre una corretta impostazione olistica ai problemi gestionali e grandi abilità di pensiero strategico.
Comunque aldilà del voler racchiudere in categorie più o meno definite per esprimere una valutazione dello “stile di direzione” strategico-organizzativo di Marchionne, può essere utile ricordare i fatti nella loro cruda successione:
1. Sergio Marchionne ex Cfo accetta nel 2004 di diventare Ceo del gruppo Fiat; la situazione eco-fin era a dir poco disastrata ed espressione di un posizionamento strategico sul mercato disastroso; la situazione fallimentare non la si voleva ammettere ma tale risultava dai numeri;
2. da ex Cfo, come prima cosa si prefigge di riequilibrare la situazione e cercare di riportare il grado di indebitamento (td) del Gruppo verso livelli più vicino al 2 che superiori al 5. Tuttavia, per riuscire a realizzare una simile operazione era necessario:
a. Tornare a produrre delle auto che riuscissero a diventare delle icone: come era stato per la 500,
b. Rilanciare alcuni “marchi” come Maserati e Alfa Romeo,
c. Tornare a produrre delle belle auto come Giulia e come Stelvio nel comparto dei Suv,
d. Trovare nuovi mercati di sbocco, dove peraltro la storia insegnava che non si poteva non essere presenti sul mercato auto statunitense, per i suoi volumi e per le sue dinamiche,
e da qui trovare numeri per
e. Rilanciare anche alcuni stabilimenti produttivi in Italia,
f. Trovare un “riequilibrio” finanziario vendendo, attraverso una quotazione in Borsa, azioni della società del Gruppo con la più ampia notorietà del Brand: Ferrari (l’Ipo-52$ ad azione, viene realizzata il 15 ottobre 2015, per una quotazione complessiva di 10 m.di con la cessione da parte di FCA del 10% del capitale).
Le cifre danno evidenza dell’efficacia di queste mosse, da un punto di vista di riequilibrio e rilancio delle performance economico-finanziarie del Gruppo (Tabella 1 e Figura 1) ed evidenziandone gli effetti positivi anche in un confronto con i numeri di alcuni competitor (Tabella 2 e Figura 2).
Una serie di proposte azzeccate, in termini di modelli di autovetture presentate sul mercato (la nuova Fiat 500 e la Grande Punto auto tra le più vendute in Italia nel 2006-2007, seguite poi da Stelvio e Giulia) e riesce a far più che quadruplicare il fatturato raggiungendo 110.412 miliardi di euro. Nel 2018 il fatturato del Gruppo FCA, supera quello di Renault e BMW e si avvicina a quello di Ford. Ma non è questo l’aspetto rilevante, anche se è pur vero che nell’automotive i volumi possono condizionare le performance eco-fin. Rilevante è invece la Redditività che rilanciata dai numeri negativi del 2004 è progressivamente migliorata per raggiungere un Roe del 10,73% (2018) muovendo da 3,18% (2015- si veda Tabella 1), un incredibile Roi 15,85% (2018) partendo da 2,26% del 2015. Questa Redditività ha segnato un recupero di credibilità gestionale, che ha anche facilitato alcune operazioni finanziarie riuscite, tra le molte tentate, ma soprattutto ha consentito nel tempo di procedere ad un sensibile contenimento del grado di indebitamento. Questo indicatore si è quasi dimezzato da quando nel 2015, si realizzato con successo l’Ipo di Ferrari. Si è passati dal 6,53 (2015) al 3,92 del 2018.
Tabella e Figura 1: Andamento del fatturato, della redditività e del grado di indebitamento
Tabella 2 e Figura 2: FCA vs. Competitor – Fatturato ed alcuni indicatori di Redditività
Di questo efficace percorso (2004-2018) si sono accorti nel mondo del business e del management. Così abbiamo testimonianze, oltre che dai bilanci, dalle numerose biografie scritte su Marchionne e da una serie di tre articoli che Harvard Business Review gli ha dedicato. Non è frequente il fatto che questa rivista celebri un manager fatta salva la sua capacità di portare a compimento un disegno strategico particolarmente impegnativo. Il primo dei tre articoli è addirittura scritto da Marchionne stesso “Fiat’s Extreme Makeover” nel 2008, dopo 4 anni ai vertici del Gruppo. In questo articolo, dedicato ai suoi intenti strategici, sottolineava i seguenti punti:
-Identificare una nuova generazione di leader,
Selezionare target ambiziosi,
-Spingere il Gruppo a “guardarsi” meno all’interno per effettuare dei Benchmarking nei confronti di aziende come Apple,
ma per riconquistare posizioni competitive in un Business dai tratti fortemente ipercompetitivi erano imprescindibili da perseguire due intenti:
-Il time to market dei nuovi modelli doveva passare dai 18 mesi di allora a 4 mesi
-la “bottom line” della Fiat doveva essere “solidly in the black”.
Realizzare questi intenti richiedeva un profondo ridisegno del Gruppo e delle persone che ne fanno parte. Forse questo è quello che ai detrattori non è piaciuto.
Hanno fatto seguito due articoli: il primo di J. Baldoni: “How to Stay Creative Under Pressure” (Hbr, July 2009), che per la creatività dimostrata in situazioni di pressione, paragona Marchionne a Lee Iacocca; il secondo di S. Wunker “Fiat’s Smart U.S. Launch Strategy – Really”. (HBR, Febrary 2012) nel quale si sottolinea l’intelligenza della mossa fatta dalla Fiat per tornare negli Stati Uniti e per rilanciare non solo Fiat su quel mercato ma Chrysler sul mercato italiano.
Il fatto che Marchionne abbia avuto questi spazi forse ci dice qualcosa sulla sua reputazione guadagnata per quanto fatto in Fiat. Certo, noi in Italia sappiamo fare di meglio, ne abbiamo avuti splendidi esempi con i supermanager di Alitalia, di Telecom, di Finmeccanica, a cui però sono stati capaci di cambiare il nome in Leonardo. Per fortuna non tutte queste imprese sono in perdita, diversamente dovrebbero aumentarci le imposte per tenerle in piedi. Meglio sarebbe rilanciarle sul piano economico, grazie ad un po’ di creatività strategica per riattivare nel tempo l’unica continuativa premessa alla continuità di impresa: un flusso di autofinanziamento positivo per investire nel proprio futuro. Questa è la finalità sociale di un’impresa: garantire, quell’autonomia finanziaria che offra continuità nel tempo e nel rispetto dei principi di economicità. Per questo un prossimo post lo dedicheremo al caso Fincantieri, un ottimo esempio della capacità di “cadere” e di “rialzarsi” e di farlo non a spese della collettività.
Di tutto ciò abbiamo ampie testimonianze da bilanci più o meno disastrati, con l’unica scusa che spesso molte persone non li sanno leggere.
La mia sensazione è che di fronte ad un mandato non semplice da assolvere, ricevuto nel 2004, Marchionne non ha fatto solo ciò che era di competenza di un Cfo. Non ha fatto “alchimie finanziarie” ma ha allargato la visione strategica del Gruppo per avviare un processo di profondo “risanamento”. Tale processo, anche grazie ad un po’ di fortuna (l’operazione Chrysler è stata un completamento di gamma perfetto) si sta rivelando vincente. Si pensi a quante Jeep c’erano in Italia prima dell’operazione e quante Renegade ci sono oggi in circolazione. Si sta assistendo non ad un semplice salvataggio, ma ad un rilancio di un Gruppo Italiano, forse il principale gruppo italiano. Ma la riflessione più importante è che tutto questo è impossibile realizzarlo, seppur in quindici anni, da solo. Ci vuole una squadra e un management di qualità, che probabilmente non era quello che aveva lavorato con il precedente Ceo. E questo ha generato nei sostituiti e chi non si riconosceva con certe abitudini e prassi, sicuri dissapori.
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