Ero così coinvolto dalle mie attività lavorative che non mi sono accorto di Burnout. E soprattutto come molti, con il lockdown, stavo inesorabilmente precipitando verso il Point of Burnout, una sorta di punto di non ritorno. Ero talmente stravolto dal dover fare in streaming lezioni nei corsi universitari e della Liuc Business School, con in più consulenze online con alcuni clienti, che non mi sono accorto delle energie mentali richieste. Erano le solite cose ma fatte con tecnologie e soluzioni completamente diverse (Microsoft Teams, Zoom, Go to meeting e così via) e, soprattutto all’inizio, con connessioni non sempre facili. Ma c’era un’altra cosa che mi stava comunque portando verso il Burnout: il fatto che mi piace moltissimo il lavoro che faccio.
Tutto questo l’ho scoperto leggendo l’ultima newsletter di McKinsey con un’intervista a Jennifer Moss. È stata Lei la persona che ha avuto il merito di “scatenare l’inferno sul Burned Out” e che avvertiva sin dai primi articoli: più vi piace il vostro lavoro e più siete a rischio. È la passione per il proprio lavoro che porta al punto di Burnout. Ed è pericoloso, come ci ricorda sempre Jennifer Moss credere alla frase: “You’ve no doubt heard the well-worn advice that “if you do what you love, you’ll never work a day in your life”. It’s a nice idea but a total myth”.
Ma cos’è il burnout crisis?
Il termine “burnout” è un termine relativamente nuovo, coniato per la prima volta nel 1974 da Herbert Freudenberger, nel suo libro Burnout: The High Cost of High Achievement. Questi definì il burnout come “l’estinzione della motivazione o dell’incentivo, specialmente quando il proprio impegno per una causa o una relazione non riesce a produrre i risultati desiderati”. Il burnout è una reazione allo stress lavorativo prolungato o cronico ed è caratterizzato da tre dimensioni principali: esaurimento, indifferenza (minore identificazione con il lavoro) e sensazione di ridotte capacità professionali. In parole povere, se una persona si sente esausta, inizia a odiare il suo lavoro e sempre sul lavoro si sente meno capace, questa persona sta mostrando precisi segni di esaurimento.
Lo stress che contribuisce al burnout può derivare principalmente dal lavoro stesso, ma a questo può aggiungersi lo stress legato anche allo stile di vita generale. Anche i tratti della personalità e gli schemi di pensiero, come il perfezionismo e il pessimismo, possono dare un contributo. La maggior parte delle persone trascorre la gran parte delle ore in cui non dorme lavorando. È. ovvio che se si odia il proprio lavoro, se si ha disgusto dall’andare al lavoro e non si ottiene alcuna soddisfazione da quello che si sta facendo, tutto questo può avere un serio negativo impatto sulla qualità della vita di un individuo. Sebbene si legga nella letteratura scientifica che il burnout non è un disturbo psicologico diagnosticabile, ciò non significa secondo molti, soprattutto negli Stati Uniti, che non debba essere preso sul serio. Così, nella letteratura alcuni sintomi più comuni espressione del fatto che ci si stia avvicinando al punto di burnout sono:
1. Alienazione dalle attività legate al lavoro: gli individui che soffrono di burnout vedono il proprio lavoro come sempre più stressante e frustrante. Possono diventare cinici riguardo alle loro condizioni di lavoro e alle persone con cui lavorano. Possono anche prendere le distanze emotivamente e iniziare a sentirsi insensibili al proprio lavoro.
2. Sintomi fisici: lo stress cronico può portare a sintomi fisici, come mal di testa e mal di stomaco o problemi intestinali.
3. Esaurimento emotivo: il burnout fa sentire le persone svuotate, incapaci di far fronte ai problemi e stanche. Spesso non hanno l’energia per portare a termine il loro lavoro.
4. Caduta nel livello delle prestazioni: il burnout influisce principalmente sulle attività quotidiane al lavoro o in casa quando il lavoro principale di qualcuno prevede la cura dei membri della famiglia. Gli individui con burnout si sentono negativi riguardo ai compiti. Hanno difficoltà a concentrarsi e spesso mancano di creatività.
Si condividono alcuni sintomi simili alle condizioni di salute mentale che caratterizzano la depressione. Gli individui depressi provano sentimenti e pensieri negativi su tutti gli aspetti della vita, non solo sul lavoro. I sintomi della depressione possono includere anche una perdita di interesse per le cose, sentimenti di disperazione, sintomi cognitivi e fisici, nonché pensieri suicidi. Così saggiamente viene suggerito da tutta la letteratura di cercare di fermarsi il prima possibile rispetto al Point of Burnout. Jennifer Moss ha il grande pregio di essere stata tra i primi autori ad aver dato ampio spazio a questo tema. Aveva iniziato ad evidenziare la crescente rilevanza dei problemi da stress lavorativo, già negli articoli digitali di Hbr a partire dal mese di luglio del 2019. Poi qualche mese dopo è esplosa la pandemia e con il primo lockdown il fenomeno divenne di estrema attualità.
Ci ricorda l’autrice: “Nel nostro mondo moderno, sempre più attivo ed efficientista, il burnout è stato per lungo tempo una minaccia. Oggi è diventato dilagante. In poche settimane milioni di persone hanno perso il lavoro e hanno dovuto affrontare insicurezza finanziaria e difficoltà nel mantenere il loro tenore di vita. Le persone che lavorano in prima linea sono preoccupate per la loro incolumità fisica e quelle che si occupano di assistenza sanitaria mettono a rischio la propria vita ogni giorno. Un terzo dei dipendenti statunitensi ha iniziato a “vivere al lavoro”, con il tavolo della cucina come nuovo pseudo-ufficio. Nel corso dell’anno lo stress acuto è diventato stress cronico. E mostra pochi segni di cedimento”.
Il livello di burnout odierno è il risultato di un problema esistente reso esponenziale dalla pandemia. Eppure, nonostante la gravità e la diffusione del problema, può essere ancora possibile risolverlo. Ci rincuora Jennifer Moss nel suo ultimo libro (The Burnout epidemic: The Rise of Chronic Stress and How We Can Fix It. Hbs Press, 2022): “Combattere il burnout può sembrare un compito opprimente ed erculeo, soprattutto dopo mesi di stanchezza emotiva, ma se sei armato degli strumenti giusti, può essere più facile di quanto potresti pensare. E pronti o meno, non possiamo ignorare l’urgenza: siamo nel mezzo di un’epidemia di burnout”. Come la copertina del libro ribadisce, la fiamma del fiammifero completamente consumato che si spegne è una perfetta metafora del fenomeno burnout che può colpire ognuno di noi.
Il suggerimento logico è quello di non raggiungere mai questa situazione, ma “prevenirla” e fermarsi prima. Fermarsi prima non è solo una possibilità, ma è un’imprescindibile necessità.. Ci sono strumenti e tecniche per farlo. In proposito è di estremo interesse Effective Stress Relievers for Your Life di Elizabeth Scott.
Nell’articolo vengono indicati una serie di strumenti ed esercizi anti-stress da praticare sia a breve che a medio lungo termine. Tra i primi:
-Utilizzare video su località dove sognare una vacanza con una guida e una musica adeguate (sono disponibili ad esempio su Youtube Deep Focus Music);
-Avere dei momenti di Meditazione;
-Imparare i vari tipi di respirazione;
-Praticare il rilassamento muscolare progressivo;
-Ascoltare musica rilassante (ai miei tempi era la Musica New Age e Ambient);
-Fare delle passeggiate a contatto con la natura (lungomare o nei boschi).
A medio lungo termine il problema è più complesso e per prima cosa devono cambiare le strategie di vita di una persona, riportando il lavoro nei tempi e nei modi tali da evitare un’invasione totalizzante delle 24 ore disponibili e dei periodi non lavorativi. Non bisogna inoltre che i vertici delle aziende trascurino il fatto che come la pandemia ci ha cambiati, devono essere adeguate anche alcune soluzioni organizzative (J. Moss, Hbr.org, digital article, July 2022).
Per cogliere la rilevanza di queste attività anti-stress e all’importanza di saper “staccare” ai primi segnali negativi si può pensare ad un’altra metafora proposta in un articolo di Jennifer Moss. Per sottolineare quanto sia importante fermarsi ai primi segnali negativi e non insistere l’autrice riporta una metafora, tratta dalla vita di molti di noi: se il chiodo che si vuole fissare in una parete, incontra una resistenza prima si piega e se, poi se si insiste, spesso cade, staccando un po’ di intonaco e lasciando anche un buco sulla parete.
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