Se nel XV secolo il Rinascimento italiano si è qualificato per aver saputo essere una sintesi tra cultura, amore per il bello e innovazione, si può realisticamente pensare, e i numeri sembrerebbero dimostrarlo, che l’Italia con il 2023 sia approdata ad un nuovo Rinascimento. Speriamo non sia l’espace de une matin e che il futuro ci confermi questa fase storica. Il motivo è semplice: le tecnologie digitali ci hanno dato una mano a trasformare la nostra creatività in innovazione sia di prodotto/servizio che di processi gestionali, laddove ci facevano difetto le notevoli risorse finanziarie e l’operatività. Le Pmi italiane hanno mostrato la loro natura di formidabili “botteghe artigianali”, che sotto la guida di illuminati imprenditori hanno iniziato a ricreare le condizioni per uno sviluppo duraturo nel tempo. Così come avveniva con i “Maestri” nelle botteghe rinascimentali che trasferivano il loro “saper fare” ad allievi che poi magari diventavano così bravi da superare i loro maestri. Vengono in mente al proposito alcuni prodotti che le grandi multinazionali straniere non sono state capaci di creare e che da noi hanno costituito importanti occasioni per la conquista di importanti spazi di mercato in settori dove, peraltro, eravamo già apprezzati, come ci ricordava già Michael Porter.

Nel food siamo passati da proposte enologiche sempre più alte di gamma alla diffusione in molti mercati dei prodotti della nostra cucina tra questi: pasta, prosciutti, olio e persino l’aceto balsamico con i quali condire le insalate all’italiana. Nell’illuminotecnica con la Poldina, la lampada senza fili, Zafferano spa ha cancellato le buie serate a tavola in ristoranti e bar. Ha inoltre rinnovato una tradizione che tra Fontana Arte e Artemide aveva illuminato con prodotti di design le case non solo degli italiani.

Nel fashion non dobbiamo neppure ricordare gli infiniti prodotti, ma semplicemente i tanti “artisti” che li hanno creati con le loro imprese: da Giorgio Armani per l’haute coté a Diesel per il casual. Non si deve poi dimenticare il nostro contributo nell’arredo casa dove tra bagno, cucine, soggiorni e camere da letto abbiamo rappresentato un costante punto di riferimento anche per le collezioni Ikea, che prima di rendere smontabile il prodotto lo devono ideare. Ma l’oggettistica per la casa ha avuto anche lei i suoi campioni come Alessi e i Fratelli Guzzini. Per non dimenticare, infine, realtà come Stone City che propone tutti i possibili tipi di pietre da utilizzare nell’arredo di interni ed esterni. E sul consumatore finale abbiamo la capacità di renderci difficilmente sostituibili con montature di occhiali, gioielli e penne-matite e un taccuino Moleskine utilizzato da pittori, scrittori e fotografi come Vincent Van Gogh, Pablo Picasso, Ernest Hemingway e Bruce Chatwin. Da tutte queste realtà oggi vengono offerti Prodotti semplici, ma dei piccoli capolavori che molti ci invidiano. Poi abbiamo minimizzato il tutto etichettandolo “made in Italy”. Forse è qualcosa di più.

Tutto ciò può essere corroborato da altri dati, forniti dal mio collega Ferdinando Alberti che ha fatto di più: ha raccolto per l’Institute for Entrepreneurship and Competitiveness, guidato presso la Harvard Business School da Micheal Porter, informazioni che aiutassero a fornire una fotografia dell’economia italiana la più realistica possibile, al netto della P.A. e della burocrazia che ancor oggi frena il nostro Paese. Certo siamo ancora deboli in alcuni settori e forse non avremo mai degli “eserciti forti” laddove per fare impresa siano necessari alta intensità di capitale o ad alta intensità di R&S. Tuttavia è la nostra storia che è così. Fatta di tante più o meno piccole realtà, come lo erano i comuni, i ducati e i granducati. Casomai facciamo squadra a livello territoriale e ci inventiamo i distretti, così come Enzo Rullani e Giacomo Becattini (1998) hanno ampiamente evidenziato in questo libro.

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