Nelle teorie di management la distinzione iniziò ad avere peso quando Henry Mintzberg precisò, prendendo spunto dalle neuroscienze, la diversa attitudine che le persone potevano avere verso attività come la pianificazione o l’attività di formulazione della strategia o anche di organizzazione-gestione delle risorse. La prima dai contenuti razionali e analitici è sviluppata dall’emisfero sinistro, mentre il destro è destinato a svolgere attività creative, intuitive e di sintesi spazio-temporale. I due emisferi non sono uguali e anche se hanno delle simmetrie (i muscoli della parte sinistra del corpo sono controllati dalla corteccia dell’emisfero destro, quelli della metà di destra dall’emisfero sinistro) hanno numerose funzioni che sono asimmetriche: ad esempio il linguaggio ha i suoi centri nell’emisfero sinistro che è più voluminoso, mentre il destro controlla le funzioni di ascolto e la percezione visiva.
Quest’idea la scoprii durante uno strano seminario residenziale, organizzato in Sda Bocconi da Claudio Demattè e Roberto Vaccani presso il Castello di Cozzo (Pavia), che si rivolgeva ad un gruppo di docenti di quella Business School. In quell’occasione rimasi stupito quando scoprii che la proposta di Mintzberg era del 1976 e l’articolo che la presentava era stato pubblicato in quell’anno sulle pagine di Harvard Business Review, una rivista già allora sempre attenta alle innovazioni più radicali. Con quell’articolo si metteva in discussione che tutte le persone potessero in azienda interpretare qualsiasi ruolo. Quanto più avevamo sviluppato uno dei due emisferi rispetto all’altro tanto più alcune attività ci sarebbero riuscite più facili da interpretare rispetto ad altre.
Così, pure la proposta non era quella di escludere l’utilità di persone con attitudini analitico-razionali, ma quella di suggerire ai manager di essere efficaci nel “distinguere ciò che è meglio gestito analiticamente da ciò che deve rimanere nel regno dell’intuizione, dove, nel frattempo, dovremmo cercare le chiavi perdute del management” (HBR, July, 1976) per la deriva analitico-razionale imboccata dalle teorie. Queste contrapposizioni chiare e le loro conseguenze per tanto tempo non sono state approfondite. Poi lo stesso Mintzberg nel 2003, con J. Gosling, sulle pagine di Hbr rilanciava evidenziando le Five Minds che dovrebbero essere caratterizzanti un manager efficace (The five minds of a manager). Così, pure la proposta non era quella di escludere l’utilità di persone con attitudini analitico-razionali, ma quella di suggerire ai manager di essere efficaci nel “distinguere ciò che è meglio gestito analiticamente da ciò che deve rimanere nel regno dell’intuizione, dove, nel frattempo, dovremmo cercare le chiavi perdute del management” (HBR, July, 1976) per la deriva analitico-razionale imboccata dalle teorie. Queste contrapposizioni chiare e le loro conseguenze per tanto tempo non sono state approfondite. Poi lo stesso Mintzberg nel 2003, con J. Gosling, sulle pagine di Hbr rilanciava evidenziando le Five Minds che dovrebbero essere caratterizzanti un manager efficace (The five minds of a manager). Il pensiero di questi due studiosi era che, muovendo dalle constatazioni del precedente articolo, una persona chiamata a svolgere ruoli gestionali, non può avere solo capacità decisionali (managing organizations: the analytic mind-set). La parte razionale e analitica non è l’unica che deve essere curata e sviluppata. Si devono abbinare, secondo i due studiosi, le capacità di gestire sé stessi (reflective mind-set), di comprendere il contesto ambientale in cui ci si trova ad operare (worldly mind-set), di gestire relazioni interpersonali (collaborative mind-set) e di guidare il cambiamento (action mind-set).
All’articolo seguì un libro dissacrante di Mintzberg: “Managers not MBAs” (2004), che venne recepito da alcune Business School come stimolo ad un’apertura a nuove discipline, da altre meno. Io stesso lavorando su quelli che, all’inizio degli anni ’80, erano i 2 Master della Sda Bocconi sentii l’esigenza di questa apertura e del coinvolgimento di docenti che appartenessero alle scuole di pensiero dei comportamentisti con solide basi di psicologia. Entrarono nella faculty docenti come Roberto Vaccani e Gian Franco Goeta. Ma l’idea non era una novità italiana, veniva da lontano. Molte tra le principali Business School statunitensi avevano uno o più docenti provenienti dall’area psicologica: Harvard ha avuto Renato Tagiuri e Chris Argyris, la Sloan Management (Mit) Edgar Schein, mentre a Stanford insegnava e lavorava Harold J. Leavitt. Era una delle prime volte che dalla neurologia venivano estratte idee per riflettere sulle attività di management e sulle diverse attitudini, che per loro percorso di vita, le persone avevano sviluppato. Per molti anni le contaminazioni tra le due discipline ci sono state e sono state legate ai suggerimenti sulle soft skill dovute ai contributi della Pnl e dell’approccio Mindfulness. Ma solo di recente le teorie di management hanno attinto alle sempre più avanzate conoscenze delle neuroscienze. Si ricorda in proposito il contributo di un collega e stimato amico Gian Carlo Cocco.
Certo, ben più nobile culturalmente è stato il livello a cui Norberto Bobbio ha portato la contrapposizione con il suo “Destra e Sinistra. Ragioni e significati di una distinzione politica”. In quel contributo Bobbio ha centrato la distinzione sul diverso atteggiamento che il popolo di destra e il popolo di sinistra, sistematicamente mostrano nei confronti dell’idea di eguaglianza. In particolare, le persone che si dichiarano di sinistra danno maggiore importanza a ciò che rende gli uomini eguali, e ai modi di ridurre le diseguaglianze; mentre coloro che si proclamano di destra sono convinti che le diseguaglianze siano ineliminabili e che non se ne debba neanche auspicare la soppressione. Contro ogni tentazione consociativa, i due concetti appaiono sempre più irriducibili l’uno all’altro, né sono ricomponibili in una sorta di compromesso intermedio, giacché il “centro”, per Bobbio, non ha consistenza teorica, non definisce una “parte”.
Ancor più “nobile” e divulgativo fu l’utilizzo della contrapposizione destra-sinistra da parte di Giorgio Gaber. Il testo integrale del suo brano musicale lo segnaliamo qui. Tuttavia, ci piace ricordare alcune sue profetiche strofe:
“Il pensiero liberale è di destra
Ora è buono anche per la sinistra.
Non si sa se la fortuna sia di destra
La sfiga è sempre di sinistra”.
Così, il dubbio rimane, sinché non si sceglie per l’una o per l’altra o alla fine si decide di rimanere al “centro”. Questo è quello che spesso avviene anche nell’area manageriale: alle scelte nette si preferisce o si accetta il compromesso. Ma come in politica, non sempre il compromesso è la soluzione vincente, talvolta è un segno di debolezza o peggio di incapacità. Certo, le attitudini legate allo sviluppo prevalente di uno dei due emisferi non vanno sottovalutate, come non va sottovalutato quanto le neuroscienze ci insegnano: le diverse mind di una persona possono essere oggetto di cure e di potenziamento. È anche per questo che nasce Manage-Mind. Nel nostro lavoro sapere da quale base attitudinale partiamo, date le nostre esposizioni ad elementi plasmanti esterni, è peraltro utile, ci dà un’idea della direzione nella quale investire per colmare alcune carenze e di quanto dovremo impegnarci se desideriamo cambiare il nostro mind-set.
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