È notizia di questi giorni che l’innovazione, da tempo richiamata come strategia qualificante per il successo delle imprese in un ambiente ipercompetitivo, ha avuto un importante riconoscimento con l’assegnazione del premio Nobel per l’economia 2025 a Joel Mokir a Philippe Aghion e al canadese Peter Howitt “per aver spiegato la crescita economica guidata dall’innovazione”. A Mokyr (storico e docente della Northwestern University, negli Stati Uniti) va metà del premio “per aver individuato i prerequisiti per una crescita sostenuta attraverso il progresso tecnologico”. Mentre l’altra metà è stata assegnata congiuntamente a Aghion e Howitt (rispettivamente del Collège de France, in Francia, e della Brown University, negli Stati Uniti) “per la teoria della crescita sostenuta attraverso la distruzione creativa”.
Certo questo riconoscimento arriva forse anche un po’ tardi e di certo dimentica studiosi come Clayton Christensen (Harvard Business School), che tra i primi hanno affrontato in profondità il tema dell’innovazione, approdando a classificazioni chiare ed espressive del portato e dei contenuti dell’innovazione. Per quel che mi riguarda è proprio da Christensen che ho imparato come tentare di realizzare in azienda innovazione di successo e quanto possano pesare in modo diverso le cose da fare nei vari tipi di innovazione. Fare innovazione di successo significa proporre prodotti e servizi che vengano accettati e valorizzati dai mercati. Così, quello che ho capito ed imparato su questo tema da Christensen lo interpreto pensando a cosa fare nei due estremi del processo innovativo. In entrambe le situazioni al centro del processo c’è il cliente che si vuole soddisfare, ma il suo peso può essere molto diverso come diverso è il peso della tecnologia. Se l’approccio poggia:
-sulla combinazione idea-tecnologia, si può approdare ad una disruptive innovation; con questo approccio si rende disponibile a tutti quello che prima era per pochi e questo grazie al contributo della nuova tecnologia; con questo ruolo preponderante della tecnologia credo si possa capire quanto il risultato di queste innovazioni sia capace di cambiare il mondo; per avere un’idea di innovazioni di questo tipo penso a quello che la tecnologia digitale ha generato partendo dagli impatti sul mondo della fotografia e della musica a quelli sul mondo del lavoro; spesso quest’approccio è meno attento ai bisogni del cliente poiché è la tecnologia a prevalere, consente di fare un salto, una proposta molto diversa da quanto esistente sul mercato; si potrebbe quasi dire che si parte dalla tecnologia per chiedersi in quale contesto applicarla; fa riflettere la frase di Henry Ford “se avessi chiesto ai miei clienti che cosa desideravano, mi avrebbero risposto cavalli più veloci”, l’innovazione è strettamente combinata con la tecnologia; si arriva a proporre la soluzione innovativa mettendo insieme chi ha la vista e la sensibilità del mercato con chi conosce la tecnologia e le sue potenzialità; nel fare innovazione parto dalla tecnologia e mi chiedo come posso valorizzarla, per fare che cosa?
-sul job to be done l’innovazione nasce dalla capacità, da parte di chi sta pensando all’offerta da proporre, di capire quello che sarà l’utilizzo che verrà fatto dal cliente di quanto gli si proporrà in offerta; quello che sarà il “compito” che il cliente svolgerà con quanto ricevuto in offerta, che cosa se ne farà; si pensi ad esempio quanto molti prodotti siano passati da prodotti di uso esclusivamente pratico a prodotti chiamati ad essere anche esteticamente belli, da mostrare; così quando penso ai libri e alla loro possibile drastica riduzione come copie vendute a causa dell’@ book, mi accorgo poi che in realtà il loro job to be done non solo è leggerlo, ma considerarlo anche un oggetto di arredamento; con quest’approccio si parte dal cliente e le tecnologie vengono dopo.
Ma non basta. Questa figura tratta dai lavori di Christensen sul Job to be done aiuta a ricordare due aspetti:
a. in quest’approccio, di solito di minor rottura rispetto al primo, al centro c’è il cliente, ma non i suoi bisogni, con le sue modalità d’uso di quanto gli viene offerto;
b. ci sono 4 forze che facilitano e che condizionano l’innovazione; 4 forze numericamente bilanciate (le due a destra in figura facilitano-spingono; le due a sinistra in figura frenano), ma spesso invece sbilanciate dal punto di vista dei comportamenti. Quindi attenzione: ci possono essere situazioni aziendali che frenano o addirittura “uccidono” l’innovazione. Così come, e può essere intuitivo comprenderlo, il “magnetismo” per l’innovazione abbinata a stimoli positivi che possono arrivare da situazioni funzionali, sociali ed emozionali può essere altrettanto pericoloso
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